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Quel pasticciaccio brutto di via del Nazareno

Proprio ieri avevo scritto di un incontro immaginario con Piero Fassino per verificare la possibilità di alleanze in vista delle elezioni politiche generali in programma tra qualche mese. Oggi la stampa nazionale riporta, oltre all’incoraggiamento che avrebbe ricevuto dai “padri nobili” del PD, anche le eventuali proposte per cercare di convincere i riottosi scissionisti di MDP.
Leggendole, mi è venuto in mente un libro scritto da Patrizio Peci, primo brigatista pentito, dal titolo “Io, l’infame”. Nel libro Peci narra il suo percorso da terrorista sino, appunto, al pentimento. Durante il periodo della sua clandestinità, non rinunciava all’intimità con la sua fidanzata di allora, anche lei terrorista. In uno di questi momenti, la ragazza gli chiese cosa sarebbe stato di loro ad avvenuto trionfo della Rivoluzione Comunista in Italia. Dopo aver riflettuto per qualche istante, Peci rispose che gli sarebbe piaciuto ritirarsi in una casetta in campagna. La risposta della sua compagna fu lapidaria: “e tutto sto casino per una casetta in campagna”?

Parafrasando Peci mi verrebbe di chiedere a Piero Fassino e allo stato maggiore del PD: tutto sto casino (la scissione) per un maggiore indennizzo ai licenziati (del reintegro non se ne parla proprio) e per l’abolizione del super ticket (parziale, perché su questa partita sono disponibili circa 400 milioni e ce ne vorrebbero il doppio)? Singolare, poi, la posizione espressa da Cesare Damiano per giustificare l’indisponibilità del PD a votare la proposta di legge di MDP e Sinistra Italiana sulla reintroduzione dell’art. 18: “ho difeso da sempre l’art. 18, ma quando ho scoperto che garantiva solo il 20% dei lavoratori ho capito che era superato”. Quindi, l’esponente di un partito che vorrebbe testardamente definirsi di sinistra, constatato che le tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori tutelano una minoranza, cosa fa? Anziché trovare il modo di estenderle le restringe ulteriormente o, addirittura, le elimina? E’ il mio un riflesso condizionato da presunto nostalgico, da uomo votato alla testimonianza identitaria, al massimalismo o in questo ragionamento qualcosa non funziona? Detto che l’art. 18 è parte del problema, e forse il meno rilevante, la disponibilità dei democratici a trovare forme che lo reintroducessero, vista l’impennata di licenziamenti, sarebbe stata letta come un segnale di genuina volontà di togliere qualche pietra sul cammino dell’ipotetica alleanza. Il problema è che il Jobs act non è composto solo da “tutele crescenti” e licenziamenti, ma da contratti di lavoro, politiche attive, ammortizzatori sociali. Fu presentato come la “via italiana alla flexicurity”, il modello di mercato del lavoro sperimentato nei paesi del nord Europa. Dov’è la razionalizzazione e la riduzione dei contratti atipici e a tempo? Quali politiche attive per il lavoro implementate e quante risorse ad esse destinate? Quale sistema robusto e “tranquillizzante” di ammortizzatori sociali? L’APE social? Stiamo scherzando? E per rimanere in tema, ribadiamo un concetto: la decontribuzione per le nuove assunzioni o è di natura strutturale o è, come hanno dimostrto i 26 miliardi bruciati con il Jobs act, inutile.

A nessuno sfugge quanto sia corta la coperta delle risorse finanziarie pubbliche, come a nessuno deve sfuggire che i mille giorni del governo Renzi nulla hanno fatto per allungarla, anzi. Allora ribadiamo anche questo: se da una parte bisogna cominciare, cominciamo dai piedi dove il freddo si avverte prima. Cominciamo con un massiccio piano di investimenti pubblici non in mega opere ma in interventi mirati coinvolgendo anche i Comuni. Cominciamo dal sostegno al TAC 3.0 (turismo, agroalimentare, cultura) per creare condizioni di occupazione qualificata nel nostro Mezzogiorno. Cominciamo dalla patrimoniale sulle rendite e da una riduzione IRPEF su redditi da lavoro bassi e non indiscriminata. Cominciamo da tutto ciò che realmente può unire, altrimenti è tatticismo, è un triste gioco del cerino. Personalmente proverei imbarazzo se vi fosse da parte del PD una sincera volontà di dialogo e questa non venisse accolta. Mi rendo conto, però, che un programma elettorale non può modificare né superare le reali cause che hanno determinato la crisi dei rapporti a sinistra. Sono francamente stufo di editoriali che richiamano al senso di responsabilità per superare la “scelta irresponsabile” della scissione. Stufo di appelli dei “padri nobili e fondatori” amareggiati e preoccupati per il futuro della sinistra e del Paese.

Stufo e, mi si consenta, tremendamente incazzato. Quanti appelli sono stati rivolti alla dirigenza del PD quando era chiaro che questo partito si avviava sempre più verso una china leaderistica, quando il suo segretario dichiarava candidamente che né il suo partito né il suo governo avrebbero accettato il confronto con i sindacati e che la segreteria del PD era un biglietto da visita per Palazzo Chigi molto più autorevole di un partito personale? Quanta indignazione si è lavata da costoro nel sentire affermazioni che esaltavano Marchionne in contrapposizione al più grande sindacato italiano? Che la CGIL non sia immune da responsabilità per scelte su temi di ampia rilevanza sociale ed economica, è fuori discussione. Ma l’esaltazione di un modello di gestione delle relazioni industriali tale da far quasi rimpiangere Valletta, è troppo. La stima che ora si professa nei confronti dei vari Bersani, D’Alema o Rossi, non era il caso di manifestarla pubblicamente quando quegli stessi soggetti erano trattati con sufficienza se non dileggiati (Veltroni a Torino, a proposito di “Rivoluzione Socialista)?. Ora si è all’improvviso levato un coro da tragedia greca che grida al pericolo grillino e della destra. Silenzio quando per anni si denunciava che erano le nostre scelte (sì, nostre. Perché c’eravamo e forse non abbiamo fatto il necessario per impedirle) che stavano spalancando le porte a quei barbari che tanto oggi si temono.

E, in ultimo, perché mai è stata approvata una legge come il Rosatellum? Il primo che mi dice che è stata fatta proprio nell’ottica di stimolare alleanze, a destra come a sinistra, meriterebbe di essere preso a pedate nel sedere!
Via del Nazareno, dopo i continui pasticci di questi ultimi anni, ha solo una via d’uscita: avviare una seria riflessione sulla natura del PD, su ciò che davvero vuole essere. Attenzione, non necessariamente una riflessione critica. Perché, ed è politicamente legittimo, potrebbe assumere la scelta di essere una forza di centro, di impronta “macroniana”, magari orientata ad allearsi con la sinistra. O, magari, tornare alle origini e ai valori fondativi e, quindi, assumere le decisioni politiche conseguenti. L’ibrido di ora, di un partito con diverse sensibilità ma con nessuna sintesi, perché la sintesi non è oggettivamente e politicamente possibile, non giova a nessuno. Innanzitutto al PD stesso. Una volta concluso tale processo “identitario”, torneremo a discutere seriamente. Al caro Romano Prodi può essere ancora rimasta nostalgia dell’Unione. A noi no, perché le conseguenze pagate sono state care.

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