Comprendo benissimo che una forza politica, nata praticamente dal nulla, non possa nel giro di pochi mesi avere una identità e delle proposte programmatiche nette, visibili e immediatamente riconoscibili. E’ anche vero, però, che non può continuare a vivere di luce riflessa, di caratterizzarsi in virtù di vicende che riguardano gli altri. Insomma, il neonato Art. 1-MDP alcune cose deve da subito evitare di fare e altre, altrettanto velocemente, deve cominciare a farle.
Tra ciò che, ritengo, vada evitato, è quello di continuare a commentare le vicende interne al PD e trarre da esse auspici più o meno significativi. Il calo di affluenza alle primarie, vistoso e consistenze in aree significative per il Paese e per la sinistra, è questione che quel partito deve, se vuole, affrontare. Trarre la conseguenza che coloro che non si sono recati ai gazebo, rappresentino possibili (se non facili) consensi al nostro Movimento, è sbagliato e politicamente pericoloso. I consensi, di questi come di altri cittadini, sarà possibile conquistarli non in virtù di uno stanco e inutile “antirenzismo” ma di una proposta politica convincente. E da questo punto di vista, temo, siamo in ritardo. In forte ritardo e il fatto che siamo nati da poco, non lo giustifica del tutto. Uno dei limiti più evidenti della minoranza PD durante la prima segreteria Renzi fu quello, al netto delle giuste e sacrosante critiche verso scelte assolutamente sbagliate, di non aver saputo elaborare una strategia (e una leadership) unitaria e alternativa. Proprio questo limite mi ha convinto, e parlo di “ieri”, a sostenere Enrico Rossi e il suo progetto. Oggi è giunto il tempo della sintesi e delle scelte per il domani.
Ho già scritto, e lo ribadisco, che è necessario saper dettare l’agenda politica. Lanciare proposte forti e costringere i tuoi avversari a confrontarsi con esse. Se succede il contrario, le proprie opzioni rischiano l’ombra, la marginalità.
Abbiamo indicato nel lavoro la nostra priorità. Come crearlo? Ridando vigore agli investimenti pubblici. Giusto ma il “keynesismo” ha, per alcuni aspetti, lo stesso limite del liberismo: va ciclicamente in crisi. E, puntualmente, l’alternativa è il ritorno a pratiche neoliberiste. Quindi, il punto essenziale è la risposta alla seguente domanda: come e dove reperire risorse che non devono essere destinate solo agli investimenti di natura pubblica, ma sappiano sostenere gli investimenti privati e politiche di welfare universali? Come rendere, quindi, strutturale la crescita economica e la protezione sociale?
Dobbiamo chiaramente dire, ad esempio, che la nostra proposta di governo prevede l’introduzione della “web tax” e della “Tobin tax”, e quindi far pesare la tassazione in maniera consistente sulle rendite. Dobbiamo chiaramente dire che oltre certi redditi e oltre un certo valore catastale, l’imposta sugli immobili deve essere pagata, che una casa vista mare ha un valore e una redditività completamente diversi da un immobile vista tangenziale est.
Non possiamo certo esimerci dal considerare i vincoli europei alla spesa e al bilancio. Ma è necessario ricordare che le ipotesi macroeconomiche e le formule matematiche poste a base dei calcoli per verificare il “pareggio strutturale di bilancio” non sono neutre ma basate sulla teoria economica neoclassica, quindi liberista, in auge in Europa da troppo tempo e, conseguentemente, è in questo senso che bisogna incidere a livello di UE e non elemosinare lo zero virgola qualcosa di flessibilità in più sui conti.
Per non parlare, poi, della necessità di garantire l’universalità e la qualità dell’assistenza sanitaria pubblica, il diritto allo studio, le politiche di contrasto alla povertà per tutti coloro che vivono questa tragica condizione. E che dire delle pensioni e dell’ultima normativa che in ordine di tempo le ha riformate? E’ compito di una moderna forza di sinistra affermare con forza che il (positivo) aumento dell’aspettativa di vita non può essere semplicemente considerato come un fattore economico-produttivo e determinare il tempo per l’età pensionabile. Non si tratta di tornare ai privilegi delle cosiddette “pensioni baby”, né a quelle interamente retributive. Ma se è anche aumentata l’attesa del lavoro, perché non considerare che deve essere garantito un possibile “spazio di vita” in cui avere la possibilità di coltivare interessi, affetti, passioni. Non dico che compito della sinistra debba essere quello di garantire la felicità, ma un minimo di serenità sì.
Ci sarebbe, infine, la questione enorme delle riforme istituzionali. Molti degli esponenti politici e dei militanti che hanno dato vita ad Art. 1 erano (legittimamente) schierati per il NO al referendum costituzionale del dicembre scorso. Sarebbe un errore gravissimo non riproporre come centrale una questione di cui si dibatte inutilmente da oltre 30 anni. In tal senso segnalo che la relazione di minoranza della “Commissione Bozzi” contiene spunti attuali ed interessantissimi (forma di governo, monocameralismo, proposta di legge elettorale Pasquino/Milani). Auguro e auspico che il prossimo appuntamento di Milano, la prossima conferenza programmatica non sia solo una allegra rimpatriata tra compagni entusiasti di questo nuovo inizio, ma la prima occasione per dire chiaramente chi siamo e non cosa ci differenzia da altri.