L’immagine che mi ha più stupito, e molto preoccupato, è quella che ritrae Zingaretti e Gentiloni esultare difronte ai primi exit poll diffusi ieri sera dalle varie trasmissioni televisive che si occupavano del voto delle europee. Che il risultato della lista unitaria sia stato positivo, rispetto a quello del 4 marzo dell’anno scorso, non c’è dubbio; però personalmente ho avuto una preoccupazione diversa e mi sono letteralmente messo le mani nei capelli per la seconda volta nel giro di un’ora. La prima è stata dopo il pareggio dell’Empoli contro l’Inter. La disperazione era pressoché la stessa: la Beneamata con un piede fuori dalla Champions, la somma delle forze sovraniste, reazionarie e populiste che governano il Paese sempre saldamente oltre il 50%. Rispetto ad un anno fa si sono invertiti i rapporti di forza tra Lega e 5 Stelle, male percentuali sono le stesse.
Purtroppo sono più o meno le stesse anche le percentuali del centrosinistra, tenendoci dentro anche Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista (28 % nel 2018, il 30% ieri). Motivi di allegria, sinceramente, faccio fatica ad individuarli. Molto più utile, al contrario, chiedersi cosa diavolo sta succedendo nel nostro Paese e come se ne esce, sempre se sia possibile uscirne. La mia risposta è no, non se ne esce. Quantomeno non in tempi brevi e fino a quando l’analisi del voto non si coniugherà con una sera analisi della società. L’Italia è un Paese di destra con gravi inclinazioni populiste? Credo, piuttosto, che l’Italia sia un Paese stufo della politica e dei politici, il che è ancora più preoccupante. E le percentuali di Lega e 5 Stelle, unite al forte astensionismo, confermano e confortano la mia opinione.
Alzi la mano chi ritiene che Salvini, vice primo ministro e titolare del Viminale abbia mai dato l’idea di un uomo di governo. Non dico di uno statista, ma proprio di un uomo che oggi è al governo e ha la responsabilità di guidare una grande e importante nazione. Nella sua perenne guerra ai migranti, nel suo reclamare flat tax e maggiore autonomia per le regioni del nord, nelle sue parole di fuoco contro l’Europa, nel difendere gli interessi economici, talvolta anche grevi, di talune categorie economiche, sembra piuttosto un uomo solo contro tutti, e cioè tutti coloro, siano essi sinistra, banche, confindustria, Banca d’Italia, Vaticano, Commissione europea, additati come il vero ostacolo al presunto e millantato cambiamento, gli unici responsabili della mancata crescita economica e dei seri e drammatici problemi di bilancio. Appena Di Maio e i suoi hanno provato a smettere i panni dei Masaniello 2.0 e a cercare di accreditarsi come improbabili responsabili uomini di governo, sono stai travolti da chi dei problemi del Paese non gliene può fregà de meno, impegnato com’è a raccogliere consensi personali. Un consenso senza strategia, senza proposte credibili. Ha puntato tutto sul referendum su se stesso e ha stravinto.
Dov’è la politica in tutto questo? Dov’è l’adesione più o meno convinta ad un’idea di Paese? Si è accusata, giustamente, la sinistra di caratterizzarsi unicamente per il suo essere contro Salvini, per essere contro qualcuno e non per qualcosa. L’atteggiamento di Salvini è stato esattamente speculare: chiamare a raccolta tutti quelli che sono contro una classe dirigente indicata come la responsabile dei mali d’Italia e, implicitamente, contro coloro che pur essendo alleati non hanno gli attributi per realizzare il decantato e illusorio cambio di marcia. Nessun leader di un partito di governo, in nessuna parte del mondo, è riuscito nel capolavoro politico di atteggiarsi ad oppositore credibile del suo stesso governo!
E per dire quanto fosco si presenti il futuro, basterà un semplice esempio. Amazon, la multinazionale del e-commerce, ha annunciato il taglio di 15.000 dipendenti nelle sue varie sedi. Non che il suo fatturato abbia subito una qualche compressione. Anzi, aumenta a livelli esponenziali. Succede che ha acquistato un software, un brevetto di una azienda abruzzese, che permetterà alle macchine di selezionare, impacchettare e confezionare le merci destinate agli acquirenti. Quindi, gli addetti alla selezione, impacchettamento e confezione dei prodotti, a casa, licenziati. Non è una barbarie, non è un attentato alla dignità dei lavoratori, è una scelta assolutamente legittima e, da un punto di vista aziendale, condivisibilissima. La rivoluzione tecnologica, affascinante e drammatica allo stesso tempo, è già in atto e mentre dalle nostre parti la si è individuata per tempo e la si contempla senza indicare soluzioni che neutralizzino l’impatto sociale negativo che produrrà, a Salvini basterà un rutto. Basterà dire che Amazon, o chi per lei, non dovrà – non dovrebbe – più distribuire nel nostro Paese e se lo fa e per colpa di chi ha permesso la libera circolazione delle merci. Punto. Basta. Non gli servirà altro per avere dalla sua parte tutti i dettaglianti di scarpe, abbigliamento o qualsiasi altra merce esistente.
Insomma, viviamo una fase storica in cui alla stragrande maggioranza degli elettori (aggiungiamo a questi chi ha deciso di non recarsi più alle urne) della politica non interessa una beata mazza. Della politica intesa come visione della società, di interessi da rappresentare, di bisogni da soddisfare. Forse Salvini un giorno sarà vittima di se stesso, come è accaduto ad altri, ma il rischio serio è che arrivi qualcuno il cui rutto sarà più sonoro. Come se ne esce? Qual è l’antidoto? Personalmente non lo so, non ho alcuna certezza, ma coltivo ancora qualche speranza, fosse pure un’illusione.
La dico così, forse mi sbaglierò, ma noi non abbiamo la minima idea di come indicare la prospettiva di una società diversa e migliore, di come fare stare meglio milioni di famiglie che stanno male, di dare sicurezza personale e di futuro; di come sia possibile rimettere in moto l’ormai mitico ascensore sociale.
Allora basta, basta gioire o deprimersi per un tre percento in meno o in più, resettiamo tutto.
Chiamiamo a raccolta tutti i saperi, tutte le competenze, tutte le sensibilità che la nostra società offre e riscriviamo un nuovo inizio. Non saranno né il PD, né Art. 1, né Sinistra Italiana (praticamente cancellata) a poter rappresentare una speranza. Sarà, piuttosto, la somma di generosità politiche ed intellettuali.
E siccome il cammino sarà lungo, temo lunghissimo, si cominci presto.
Quale allegria
L’immagine che mi ha più stupito, e molto preoccupato, è quella che ritrae Zingaretti e Gentiloni esultare difronte ai primi exit poll diffusi ieri sera dalle varie trasmissioni televisive che si occupavano del voto delle europee. Che il risultato della lista unitaria sia stato positivo, rispetto a quello del 4 marzo dell’anno scorso, non c’è dubbio; però personalmente ho avuto una preoccupazione diversa e mi sono letteralmente messo le mani nei capelli per la seconda volta nel giro di un’ora. La prima è stata dopo il pareggio dell’Empoli contro l’Inter. La disperazione era pressoché la stessa: la Beneamata con un piede fuori dalla Champions, la somma delle forze sovraniste, reazionarie e populiste che governano il Paese sempre saldamente oltre il 50%. Rispetto ad un anno fa si sono invertiti i rapporti di forza tra Lega e 5 Stelle, male percentuali sono le stesse.
Purtroppo sono più o meno le stesse anche le percentuali del centrosinistra, tenendoci dentro anche Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista (28 % nel 2018, il 30% ieri). Motivi di allegria, sinceramente, faccio fatica ad individuarli. Molto più utile, al contrario, chiedersi cosa diavolo sta succedendo nel nostro Paese e come se ne esce, sempre se sia possibile uscirne. La mia risposta è no, non se ne esce. Quantomeno non in tempi brevi e fino a quando l’analisi del voto non si coniugherà con una sera analisi della società. L’Italia è un Paese di destra con gravi inclinazioni populiste? Credo, piuttosto, che l’Italia sia un Paese stufo della politica e dei politici, il che è ancora più preoccupante. E le percentuali di Lega e 5 Stelle, unite al forte astensionismo, confermano e confortano la mia opinione.
Alzi la mano chi ritiene che Salvini, vice primo ministro e titolare del Viminale abbia mai dato l’idea di un uomo di governo. Non dico di uno statista, ma proprio di un uomo che oggi è al governo e ha la responsabilità di guidare una grande e importante nazione. Nella sua perenne guerra ai migranti, nel suo reclamare flat tax e maggiore autonomia per le regioni del nord, nelle sue parole di fuoco contro l’Europa, nel difendere gli interessi economici, talvolta anche grevi, di talune categorie economiche, sembra piuttosto un uomo solo contro tutti, e cioè tutti coloro, siano essi sinistra, banche, confindustria, Banca d’Italia, Vaticano, Commissione europea, additati come il vero ostacolo al presunto e millantato cambiamento, gli unici responsabili della mancata crescita economica e dei seri e drammatici problemi di bilancio. Appena Di Maio e i suoi hanno provato a smettere i panni dei Masaniello 2.0 e a cercare di accreditarsi come improbabili responsabili uomini di governo, sono stai travolti da chi dei problemi del Paese non gliene può fregà de meno, impegnato com’è a raccogliere consensi personali. Un consenso senza strategia, senza proposte credibili. Ha puntato tutto sul referendum su se stesso e ha stravinto.
Dov’è la politica in tutto questo? Dov’è l’adesione più o meno convinta ad un’idea di Paese? Si è accusata, giustamente, la sinistra di caratterizzarsi unicamente per il suo essere contro Salvini, per essere contro qualcuno e non per qualcosa. L’atteggiamento di Salvini è stato esattamente speculare: chiamare a raccolta tutti quelli che sono contro una classe dirigente indicata come la responsabile dei mali d’Italia e, implicitamente, contro coloro che pur essendo alleati non hanno gli attributi per realizzare il decantato e illusorio cambio di marcia. Nessun leader di un partito di governo, in nessuna parte del mondo, è riuscito nel capolavoro politico di atteggiarsi ad oppositore credibile del suo stesso governo!
E per dire quanto fosco si presenti il futuro, basterà un semplice esempio.
Amazon, la multinazionale del e-commerce, ha annunciato il taglio di 15.000 dipendenti nelle sue varie sedi. Non che il suo fatturato abbia subito una qualche compressione. Anzi, aumenta a livelli esponenziali. Succede che ha acquistato un software, un brevetto di una azienda abruzzese, che permetterà alle macchine di selezionare, impacchettare e confezionare le merci destinate agli acquirenti. Quindi, gli addetti alla selezione, impacchettamento e confezione dei prodotti, a casa, licenziati. Non è una barbarie, non è un attentato alla dignità dei lavoratori, è una scelta assolutamente legittima e, da un punto di vista aziendale, condivisibilissima. La rivoluzione tecnologica, affascinante e drammatica allo stesso tempo, è già in atto e mentre dalle nostre parti la si è individuata per tempo e la si contempla senza indicare soluzioni che neutralizzino l’impatto sociale negativo che produrrà, a Salvini basterà un rutto. Basterà dire che Amazon, o chi per lei, non dovrà – non dovrebbe – più distribuire nel nostro Paese e se lo fa e per colpa di chi ha permesso la libera circolazione delle merci. Punto. Basta. Non gli servirà altro per avere dalla sua parte tutti i dettaglianti di scarpe, abbigliamento o qualsiasi altra merce esistente.
Insomma, viviamo una fase storica in cui alla stragrande maggioranza degli elettori (aggiungiamo a questi chi ha deciso di non recarsi più alle urne) della politica non interessa una beata mazza. Della politica intesa come visione della società, di interessi da rappresentare, di bisogni da soddisfare. Forse Salvini un giorno sarà vittima di se stesso, come è accaduto ad altri, ma il rischio serio è che arrivi qualcuno il cui rutto sarà più sonoro. Come se ne esce? Qual è l’antidoto? Personalmente non lo so, non ho alcuna certezza, ma coltivo ancora qualche speranza, fosse pure un’illusione.
La dico così, forse mi sbaglierò, ma noi non abbiamo la minima idea di come indicare la prospettiva di una società diversa e migliore, di come fare stare meglio milioni di famiglie che stanno male, di dare sicurezza personale e di futuro; di come sia possibile rimettere in moto l’ormai mitico ascensore sociale.
Allora basta, basta gioire o deprimersi per un tre percento in meno o in più, resettiamo tutto.
Chiamiamo a raccolta tutti i saperi, tutte le competenze, tutte le sensibilità che la nostra società offre e riscriviamo un nuovo inizio. Non saranno né il PD, né Art. 1, né Sinistra Italiana (praticamente cancellata) a poter rappresentare una speranza. Sarà, piuttosto, la somma di generosità politiche ed intellettuali.
E siccome il cammino sarà lungo, temo lunghissimo, si cominci presto.
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Luigi Pizzolo
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