Da “La cena delle beffe”, scritta dal drammaturgo Sem Benelli, ne è stata tratta un’opera lirica musicata da Umberto Giordano e un film (il primo famosissimo seno nudo della protagonista Clara Calamai) diretto da Alessandro Blasetti. La storia è ambientata nella Firenze rinascimentale e narra di un arrogante mercante, Neri Chiaramantesi che, unitamente a suo fratello Gabriello, perseguita con pesanti scherzi e provocazioni il mite Giannetto Malespini. Succede che Giannetto prende in moglie la bella Ginevra e Neri, che non ammette rivali neanche in amore, la possiede con la forza dinanzi a suo marito scaraventando il povero Giannetto nel fiume. La vendetta di Giannetto si consuma proprio in una cena che lui stesso organizza presso la sua abitazione invitando, quali commensali, Neri, Gabriello e l’autorevole Tornaquinci (una sorta di ministro degli interni di casa Medici). L’esito dell’infausta cena, dopo una serie di eventi che da quell’incontro saranno generati, porterà Neri alla follia dopo aver ucciso suo fratello che giaceva nel letto di Ginevra scambiandolo per Giannetto. La follia è la conseguenza del fatto che la sua mente rifiuta di accettare il delitto (era incapace di autocritica, diciamo) e continuerà a chiamare Giannetto con il nome del fratello.

Ma sempre a proposito di serate conviviali non è da meno “La grande abbuffata”, perché se invito a cena un operaio e un disoccupato il livello di appetito è talmente alto che si rischia il suicidio gastronomico. Sarà pur vero che l’ultimo passo è meglio affrontarlo a panza piena piuttosto che vuota, ma siccome parliamo di politica e non di critica cinematografica, il suicidio consapevole della sinistra non è evento a cui assistere piacevolmente e indifferentemente.

Insomma, mentre si organizzano cene e contro cene, mentre le suggestioni sovraniste seducono anche bocconiani cresciuti all’ombra dell’incolpevole (sotto questo aspetto) Pierluigi Bersani, Lega e 5 Stelle dormono sonni tranquilli in termini di consensi. Nessun merito evidente, ma l’inaspettata e incredibile fortuna di non avere, di fatto, alcuna opposizione. Mentre nel PD ci si continua a picchiare sulla data del congresso e nemmeno uno schiaffo, in senso metaforico, è volato sulle ragioni della sconfitta, e mentre giungono notizie rassicuranti sullo stato di salute fisica dei 14 deputati e 5 senatori di LEU, che soddisfatti di ciò evidentemente ritengono che fare politica sia secondario perché “la salute prima di tutto”, ci sono milioni di italiani (molti di più della somma di PD, LEU e PAP) che non sanno a quale santo votarsi, in quale bosco rifugiarsi (sono rimasti solo posti in piedi). Anche le proposte di Fronti e Alleanze contro le destra reazionaria e populista rischiano l’estemporaneità o, peggio, l’inutilità se si caratterizzeranno solo per il contro e non per.

Giusto per intendersi, l’Alleanza a cui fanno riferimento Rossi, Folena, Oggioni, Caldarola, Dipietrangelo e altri ha alcuni punti chiari circa il minimo comun denominatore che dovrebbe unire i progressisti europei: diritti sociali oltre quelli civili, fisco, solidarietà (innanzitutto tra gli Stati membri), bilancio comune e abbandono di ogni egoismo finanziario (ciò che Germania e Francia, con la complicità di tutta l’Europa, hanno fatto pagare alla Grecia non deve più ripetersi) e, soprattutto, una Costituzione Europea. Per intenderci ancora di più, l’Unione Europea è irrinunciabile – dicono – ma questa Europa egoista e iperliberista ci fa schifo. Una nuova Europa porterebbe vantaggi soprattutto a quei cittadini che vantaggi non ne hanno ottenuti, anzi. Al contrario, una disgregazione in egoismi nazionali aumenterebbe le ingiustizie sociali e favorirebbe chi si arricchisce speculando. Per dire, il famigerato finanziere anglo-ungherese Soros, pubblico nemico numero uno di Orban, farebbe ancora più soldi con una Europa divisa piuttosto che coesa e unita. E non parliamo dell’agricoltura nel nostro Mezzogiorno che sopravvive grazie ai PAC comunitari.

Detto questo, io sono assolutamente convinto che su quei temi potremo unire gran parte dei progressisti italiani ed europei, ma mi chiedo: Macron e Renzi la pensano allo stesso modo? I diritti sociali, che entrambi hanno relegato a feticcio del secolo scorso, sono una priorità se si vogliono ridurre ingiustizie e dumping economico e sociale? E il bocconiano Fassina e l’amletico Fratoianni, che ne pensano del resto?
E a proposito di nomi, aspetto qualcun altro oltre a Graziano Delrio che abbia l’onestà intellettuale per affermare che occorre a sinistra una classe dirigente nuova, perché quella che abbiamo, per tantissimi e buoni motivi, non è credibile. Nuova non significa giovane, significa non compromessa con i gravissimi errori degli ultimi vent’anni.

Io credo che su questo occorrerebbe iniziare a confrontarsi, ma seriamente.
A meno che non ci si voglia consolare con Eugenio Scalfari che nel suo editoriale di domenica 16 settembre si è messo a dare i numeri. Letteralmente. Prevede un PD che dopo il congresso (a prescindere dall’esito, pare) possa riconquistare consensi e attestarsi intorno ad un 25/26%. Basta creare accanto ad esso una forza liberaldemocratica (ritiene, evidentemente, che nel PD di valori socialisti ve ne siano in abbondanza) che ritiene possa accreditarsi almeno del 15/16% e il gioco è fatto.

Mi ha fatto tornare alla mente il racconto di alcuni conoscenti, ex calciatori dilettanti, su tale Giangaspro che negli anni ’60 fu allenatore della mitica Audace Cerignola. Era uso preparare le partite più o meno in questo modo: “Si inizia la partita palla a noi. Tizio passa a Caio, Caio a Sempronio che crossa in area dove c’è Terzo, gol. Uno a zero. Palla al centro. Appena riconquistiamo palla. Caio a Terzo; Terzo a Sempronio. Sempronio a Tizio, Gol. Due a zero”. Fu interrotto da un indisciplinato calciatore: “ Maè (maestro, mister) mò glielo diciamo direttamente all’altra squadra che hanno perso e così non perdiamo a giocare ca goscj teng da fè (che oggi ho da fare)”.

Ecco, seguendo il ragionamento di Scalfari, sia detto con il massimo di rispetto e considerazione possibile, potremmo dire a Matteo e Giggino che il loro destino è già segnato, si arrendessero e deponessero le armi per evitare un inutile spargimento di sangue.

Foto in evidena: Carlo Calenda, Matteo Renzi, Marco Minniti, Paolo Gentiloni

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