Sanders

Rossi scrive su Sanders e il Pd: quando il consenso per vincere si raccoglie da sinistra

Vi riproponiamo l’articolo che il Presidente della Toscana Enrico Rossi ha pubblicato sul blog che cura per Huffington Post  sulla vittoria di Bernie Sanders nelle primarie democratiche dell’Indiana, con lo sguardo rivolto al Pd. 

 

Bernie Sanders ha vinto le primarie democratiche dell’Indiana (53 a 47 sulla Clinton), ma l’Indiana ha siglato la leadership repubblicana di Donald Trump. Con i suoi 6 milioni e 3 di abitanti il piccolo stato del Midwest è il quindicesimo USA per popolazione. Patria di allevatori e agricoltori, anello chiave della Corn Belt (cintura del mais) ai piedi del Lago Michigan, con un 90% di bianchi e l’82% di cristiani, l’Indiana è il terreno ideale per le destre americane, ma anche l’idealtipo dei territori in cui il senatore del Vermont ha infilato i suoi successi. Stati in bilico (swing states) dove l’egemonia della destra non è mai venuta meno.

Una complicità esiste. Trump e Sanders, agli antipodi per valori e ideologia, sono riusciti a pescare nel non voto. Sanders in quello democratico composto da giovani (Obama costruì con loro il suo trionfo) e delusi di sinistra di lunga durata e Trump in una faglia strutturale di elettori dormienti (sino ad ora ha totalizzato un +57% di elettori alle primarie repubblicane rispetto al 2012) risvegliati dalla grande crisi.

Come ha scritto Federico Rampini per spiegare quel che è accaduto ci sono della ragioni profonde che vanno cercate nella sofferenza di un’ampia parte di società ferita dagli shock del 2008-2009 e non ancora guarita. La classe operaia e i dipendenti dei servizi che hanno visto crollare il loro potere d’acquisto ai livelli degli anni settanta, migliaia e migliaia di famiglie il cui reddito medio resta di 4000 dollari annui inferiore al 2009, il ceto medio basso che è esposto vorticosamente al rischio povertà. Una moltitudine a cui in questi anni la classe dirigente e l’establishment hanno troppo spesso voltato le spalle e che in queste primarie ha provato a far sentire la sua voce. Il vantaggio numerico di Hillary Clinton (che può contare già da ora su 2165 seggi) non è in discussione e tutti quanti hanno a cuore i destini della civiltà e della democrazia (me compreso che alle primarie, se avessi potuto, avrei votato Sanders) la sosterranno con forza alle elezioni presidenziali dell’8 novembre.

L’affermazione di Sanders resta un fatto innegabile e nella eccezionalità mostra la forza trasversale di trascinamento del suo messaggio politico e contiene delle lezioni anche per noi e per il Partito Democratico. L’interpretazione migliore la fornisce un articolo apparso ieri sul New York Times, “Il dono di Bernie Sanders al suo partito”. Avergli ricordato che il suo ruolo storico è la difesa dei diseredati, dei giovani, delle classi medie, non l’asservimento ai miliardari. Che occuparsi di sanità, salari, posti di lavoro deve essere il pane della politica progressista, non un contorno o un’elemosina. Sanders è risuscito a rovesciare il teorema secondo il quale il consenso per vincere si raccoglie da destra. Con la sua raccolta fondi è risuscito a mettere insieme 200 milioni di dollari tramite micro donazioni. La sua campagna è stata uno strumento nelle mani del popolo.

Anche il Pd è davanti a scelte cruciali. Non solo per la “questione morale” ma anche e soprattutto per la “questione sociale“. Non credo alla favola maliziosa del superamento della classica distinzione tra destra e sinistra. Sembra dettata dall’alto. Né alle più moderne (si fa per dire) coppie oppositive conservatori e innovatori (è roba da Settecento, ricordate la “querelle des anciens et des modernes“) o alto e basso (già Machiavelli aveva chiarito tutto) che dovrebbero soppiantarla. La sinistra esiste se le sue radici sono salde e cioè se è popolare e se si rivolge agli umili e ai subalterni. La sinistra esiste se riesce a costruire nel paese le infrastrutture e le agenzie per la mobilità sociale e per la redistribuzione, che si chiamano servizi pubblici, sindacati, corpi intermedi, società mutuali.

L’Italia moderna non avrebbe avuto la storia che ha avuto se non ci fosse stata la sinistra socialista. Come è noto il Partito Socialista Italiano nacque dai ceppi delle società di mutuo soccorso e dalle cooperative mazziniane, cioè dal ventre e dai bisogni profondi di solidarietà dei lavoratori e degli artigiani. Prima di decretare la morte simbolica della sinistra dobbiamo pensare al fatto che nelle società è inestinguibile il bisogno di giustizia e di riscatto delle persone. Un bisogno che se non intercettato, incanalato, trasformato in coscienza politica finirà per rivoltarsi contro la politica e le istituzioni e per scivolare nella paura, nell’odio e nella solitudine. Per far questo occorre un partito vero, solido e strutturato. Occorre un codice di valori in grado di agitare la mente e il cuore delle persone. La politica non può diventare un’esclusiva cetuale rivolta ai benestanti, né può essere una leva per la carriera nei pubblici affari. Non può neanche restare una riserva di consenso per l’azione di governo e le sue grandi riforme. Quali sono le nostre frontiere? Ho provato a dirlo commentando il discorso di Renzi al Teatro Niccolini di Lunedì. Ci sono quattro questioni aperte oltre alla riforma costituzionale e che parlano di noi perché hanno a che fare con un principio aureo della Costituzione, l’articolo 3, e sono almeno 3:

1) La disoccupazione giovanile, con cui rischiamo di bruciare una generazione;

2) il sud che tutti gli indicatori danno sempre più lontano dal Nord;

3) la lotta alla povertà, che ha raggiunto livelli allarmanti.

Che cosa intende fare Renzi e quali sono i programmi del partito democratico su questi punti cruciali per il Paese? Non si governa tutto da Palazzo Chigi e non si pone in cima alla lista il gradimento delle élites e le storie dei loro successi. Serve un partito e una prossimità vera ai bisogni degli esclusi. La forza dei leader non basta a risolvere la crisi e la debolezza strutturale della democrazia. Una crisi che nasce dalla frattura tra il sistema democratico e le nuove diseguaglianze. Ricordarsi anche di questo è stato il dono più importante di Bernie Sanders. Un dono che va tranquillamente oltre l’Atlantico e fa soffiare il vento di una ondata rifondatrice del socialismo e dei suoi valori che parla direttamente a noi europei e a noi democratici.

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