Proiezioni_Sicilia

Un voto che va (molto) oltre la Sicilia

Una cosa emerge chiara dal voto per le regionali siciliane, che hanno visto l’elezione a presidente della regione di Nello Musumeci capo della coalizione di centro destra, seguito a un paio di incollature dal candidato del movimento 5Stelle Giancarlo Cancelleri, ed è che, contrariamente a quanto affermato da qualcuno, quel voto non avrà effetti politici soltanto in Sicilia. Anzi, ha già cominciato a provocarli.
Non è un caso che, ancora prima che fosse chiaro chi sarebbe stato il nuovo presidente eletto, ci siano stati due importanti episodi riguardanti entrambi la politica nazionale.

Il primo: la dura reazione del presidente del Senato ad alcune disinvolte affermazioni, al limite della correttezza istituzionale, di tale Faraone, dai più indicato come il plenipotenziario di Renzi nell’isola, per il quale la responsabilità della dura sconfitta del Pd e del suo candidato comune con Alfano e altri) si è fermato sotto il 20 per cento e il partito da solo attorno al 10 per cento, era da attribuirsi al fatto che Grasso avesse rifiutato la candidatura a guida del centrosinistra. Scusa questa che l’ufficio stampa del presidente del Senato ha definito “patetica“, ricordando come fin dal giugno scorso avesse declinato quell’invito per evidenti motivi istituzionali.

Il secondo: l’annullamento da parte di Luigi Di Maio, probabile candidato dei 5Stelle per la presidenza del Consiglio, del già annunciato duello televisivo con Renzi, dal momento che quest’ultimo dopo il voto di domenica scorsa non era più da considerare come principale concorrente nella sfida per palazzo Chigi.

Ma torniamo ora in Sicilia, o meglio esaminiamo più attentamente chi ha vinto e chi ha perso nell’isole. Hanno certamente vinto Musumeci e l’alleanza di destra. Ma con qualche problema in sospeso che, anche qui, non riguarda soltanto la Sicilia. Infatti Musumeci è stato scelto soprattutto da Fratelli d’Italia e da Salvini che hanno ottenuto comunque un buon risultato nel voto per i consiglio regionale. Berlusconi e i suoi rivendicano invece soprattutto a Forza Italia quella affermazione e ne traggono ancora una volta occasione per rivendicare la guida della coalizione (che interessa anche Salvini e la Lega) per le prossime politiche. Insomma ci sarà materia per un interessante confronto interno.

Ma a vincere è stato anche il movimento dei 5Stelle, il cui candidato ha conteso fino all’ultimo la vittoria a Musumeci assestandosi alla fine su un largo 35 per cento. La lista per il Consiglio regionale ha chiuso al primo posto pur fermandosi attorno al 28 per cento. Una percentuale abbastanza al di sotto del candidato presidente che dimostra come anche dalle liste dei partiti che sostenevano Micari sia arrivato un soccorso non richiesto a Cancelleri. Il tutto, mentre non mancano i boatos per i quali avrebbero votato per Musumeci buona parte di sostenitori del partito di Alfano. Partito che lotterà fino all’ultimo per ottenere un posto in consiglio, attorno alla soglia minima del 5 per cento.

Naturalmente, e si evinceva già dai giornali di questa mattina ci sono due grandi sconfitti: Il primo è la politica nel suo complesso, visto che più del 50 per cento dei siciliani ha disertato i seggi. Ma il secondo grande sconfitto è il Pd e soprattutto il suo segretario Renzi. I quali in un colpo solo hanno perso la regione Sicilia e il ruolo di primi competitor del centro-destra alle prossime elezioni politiche. Come dimostra il non edificante caso del duello rifiutato da Di Maio per sopravvenuta inadeguatezza dell’avversario.
Cosa farà a questo punto Renzi? E soprattutto cosa gli chiederanno i suoi colleghi di partito sempre più dubbiosi sui risultati della sua sinora gladiatoria guida del partito. E’ possibile che Renzi giochi di anticipo rendendo contendibile la candidatura per palazzo Chigi a prescindere dallo Statuto Vassallo e arroccandosi nella segreteria del partito, visto che ha vinto le ultime primarie. Ma è anche possibile che i suoi compagni di partito più dubbiosi non si accontentino, e si apra così nel Pd quel confronto interno che è sempre mancato all’indomani di rilevanti e continuate sconfitte elettorali: in elezioni regionali, amministrative, e in un referendum costituzionale respinto a suon di 60 per cento.

Vedremo. Certo è che senza un riesame a tutto campo di quella che è stata la politica di Renzi (stamattina su “RepubblicaStefano Folli auspicava addirittura “un’autocritica“) il dialogo con la sinistra, che molti chiamano radicale o addirittura massimalista, ma che è soprattutto riformista e identitaria, sarà davvero difficile da avviare. Questa sinistra, infatti, che non ha paura di definirsi tale e a cui non basta il ruolo di vedova del centrosinistra, è riuscita, con il 7 per cento della generosa candidatura di Claudio Fava e con il suo ingresso nel Consiglio regionale, a fissare una buona e robusta base di partenza per prepararsi con serenità e vigore alle prossime elezioni politiche. Magari corroborata da autorevoli e significative candidature. In vista di quell’appuntamento la battaglia politica si sposta sui contenuti. Per ridurre le diseguaglianze servono le riforme, non le controriforme, del tipo job act con annessa eliminazione dell’aticolo 18 e la buona scuola.

Commenti