Quanto successo in questi giorni al Senato e che (tutto lo lascia intendere) potrebbe riproporsi nelle prossime ore alla Camera segna una sorta di Caporetto della politica e di un allarme rosso per il futuro delle istituzioni democratiche italiane. E’ accaduto che la legge di bilancio, pomposamente chiamata da Salvini e Di Maio, ma anche dal presidente del Consiglio Conte, “manovra del popolo” sia stata approvata, impedendo nei fatti e nei tempi, ai senatori (in commissione in aula) di leggerla, esaminarla, discuterla ed eventualmente emendarla. Nei fatti il più grave attacco alla centralità del Parlamento della storia repubblicana.
Certamente questo risultato pessimo è stato non soltanto perseguito e raggiunto ma addirittura successivamente esaltato e santificato dalla Lega di Salvini e dal Movimento 5 Stelle di Di Maio. I quali hanno, quindi, in proposito responsabilità enormi. Ma non esclusive.
La Lega ha ingaggiato una inutile e improduttiva battaglia contro l’Unione Europea che è servita soprattutto ad alimentare la speculazione finanziaria facendo impennare lo spread con danni gravissimo ai nostri già disastrati conti pubblici. Infine, soltanto una precipitosa marcia indietro ha consentito l’approvazione della manovra sacrificando, però, la tanto conclamata sovranità del Parlamento.
Quanto ai 5Stelle non sfugge a nessuno come questo partito, che si dichiara “non partito“, sia del tutto succube di un’impresa privata (la Casaleggio associati) che ne controlla e condiziona persino l’attività dei gruppi parlamentari e dei singoli senatori e deputati. Il tutto mentre uno dei massimi titolari dell’associazione, Davide Casaleggio, rilascia interviste per spiegare come il Parlamento sia ormai un luogo obsoleto, pronto ad essere soppiantato dalla democrazia digitale (?) a colpi di consultazioni su piattaforme on line, magari organizzate da imprese private. Insomma: la democrazia rappresentativa dovrebbe lasciare il posto al plebiscitarismo della rete.
Eppure gli attacchi al Parlamento e alla funzione dei parlamentari vengono da lontano. Basta ricordare il fastidio più volte manifestato da Berlusconi all’inizio della sua avventura politica per la mancanza del vincolo di mandato (fastidio ora riproposto ora dai 5Stelle), che lo portò addirittura sostenere che nelle votazioni parlamentari sarebbe bastata la presenza dei capigruppo ai quali i singoli appartenenti al gruppo avrebbero potuto affidare una sorta di delega. Nè in tempi più recenti sono mancati attacchi al ruolo del Parlamento da parte di chi alla guida del Pd nel propagandare un referendum costituzionale (poi bocciato a larghissima maggioranza) spiegava che quel referendum, abolendo l’elettività del Senato, avrebbe rilevantemente ridotto il numero dei politici. Il tutto nel nome dello slogan “bastaunsì“. Nè va dimenticato che la riforma costituzionale sulla quale si svolse il referendum fu approvata riducendo al massimo i tempi dell’esame parlamentare con abnorme uso persino dei cosiddetti “canguri“, emendamenti preventivi e preclusivi a successive modifiche del testo da parte del Parlamento.
Fatti passati che tuttavia dimostrano come l’antipolitica e l’antiparlamentarismo non sono esclusiva prerogativa del maggioranza gialloverde. Certo, è un fatto positivo che il Pd e in buona parte anche Forza Italia si siano battuti in Parlamento per contrastare le forzature al limite dell’anticostituzionalità di Lega e 5Stelle.
Ma il risultato è che anche dai sondaggi queste due forze politiche, che pure hanno difficoltà di coabitazione, sono ancora in crescita e che a sua volta la sinistra stenta più che mai ad uscire dalle macerie del voto del 4 di marzo. Ma per emergere da quelle macerie e per avviare una propria ricostruzione le forze frammentate della sinistra hanno bisogno di ripartire dalla politica non fermandosi alla denuncia di quanto sono cattivi leghisti e cinquestelle, ma facendo proposte concrete su come rafforzare e subito le istituzioni che alla politica hanno consentito di vivere e di giovare alla Repubblica. Istituzioni che sono il Parlamento, ma anche i partiti per troppo tempo considerati anche nel dibattito interno ad essi da superare in tempi di bipolarismo, vocazioni maggioritarie e leaderismo.
In questo contesto sarebbe più che mai opportuno che la sinistra avesse, nelle sue diverse articolazioni (Congresso del Pd compreso), il coraggio di riconoscere che l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti è servito invece che a moralizzare la stessa, a corrodere e indebolire i suoi strumenti. In fondo la strada per far ritrovare alla politica, dopo la Caporetto di questi giorni, la strada per Vittorio Veneto, potrebbe anche partire dal coraggio di sfidare l’impopolarità, nel segno della nostra migliore storia costituzionale.
Il brutto Natale nel segno di un’ antipolitica che viene da lontano
Quanto successo in questi giorni al Senato e che (tutto lo lascia intendere) potrebbe riproporsi nelle prossime ore alla Camera segna una sorta di Caporetto della politica e di un allarme rosso per il futuro delle istituzioni democratiche italiane. E’ accaduto che la legge di bilancio, pomposamente chiamata da Salvini e Di Maio, ma anche dal presidente del Consiglio Conte, “manovra del popolo” sia stata approvata, impedendo nei fatti e nei tempi, ai senatori (in commissione in aula) di leggerla, esaminarla, discuterla ed eventualmente emendarla. Nei fatti il più grave attacco alla centralità del Parlamento della storia repubblicana.
Certamente questo risultato pessimo è stato non soltanto perseguito e raggiunto ma addirittura successivamente esaltato e santificato dalla Lega di Salvini e dal Movimento 5 Stelle di Di Maio. I quali hanno, quindi, in proposito responsabilità enormi. Ma non esclusive.
La Lega ha ingaggiato una inutile e improduttiva battaglia contro l’Unione Europea che è servita soprattutto ad alimentare la speculazione finanziaria facendo impennare lo spread con danni gravissimo ai nostri già disastrati conti pubblici. Infine, soltanto una precipitosa marcia indietro ha consentito l’approvazione della manovra sacrificando, però, la tanto conclamata sovranità del Parlamento.
Quanto ai 5Stelle non sfugge a nessuno come questo partito, che si dichiara “non partito“, sia del tutto succube di un’impresa privata (la Casaleggio associati) che ne controlla e condiziona persino l’attività dei gruppi parlamentari e dei singoli senatori e deputati. Il tutto mentre uno dei massimi titolari dell’associazione, Davide Casaleggio, rilascia interviste per spiegare come il Parlamento sia ormai un luogo obsoleto, pronto ad essere soppiantato dalla democrazia digitale (?) a colpi di consultazioni su piattaforme on line, magari organizzate da imprese private. Insomma: la democrazia rappresentativa dovrebbe lasciare il posto al plebiscitarismo della rete.
Eppure gli attacchi al Parlamento e alla funzione dei parlamentari vengono da lontano. Basta ricordare il fastidio più volte manifestato da Berlusconi all’inizio della sua avventura politica per la mancanza del vincolo di mandato (fastidio ora riproposto ora dai 5Stelle), che lo portò addirittura sostenere che nelle votazioni parlamentari sarebbe bastata la presenza dei capigruppo ai quali i singoli appartenenti al gruppo avrebbero potuto affidare una sorta di delega. Nè in tempi più recenti sono mancati attacchi al ruolo del Parlamento da parte di chi alla guida del Pd nel propagandare un referendum costituzionale (poi bocciato a larghissima maggioranza) spiegava che quel referendum, abolendo l’elettività del Senato, avrebbe rilevantemente ridotto il numero dei politici. Il tutto nel nome dello slogan “bastaunsì“. Nè va dimenticato che la riforma costituzionale sulla quale si svolse il referendum fu approvata riducendo al massimo i tempi dell’esame parlamentare con abnorme uso persino dei cosiddetti “canguri“, emendamenti preventivi e preclusivi a successive modifiche del testo da parte del Parlamento.
Fatti passati che tuttavia dimostrano come l’antipolitica e l’antiparlamentarismo non sono esclusiva prerogativa del maggioranza gialloverde. Certo, è un fatto positivo che il Pd e in buona parte anche Forza Italia si siano battuti in Parlamento per contrastare le forzature al limite dell’anticostituzionalità di Lega e 5Stelle.
Ma il risultato è che anche dai sondaggi queste due forze politiche, che pure hanno difficoltà di coabitazione, sono ancora in crescita e che a sua volta la sinistra stenta più che mai ad uscire dalle macerie del voto del 4 di marzo. Ma per emergere da quelle macerie e per avviare una propria ricostruzione le forze frammentate della sinistra hanno bisogno di ripartire dalla politica non fermandosi alla denuncia di quanto sono cattivi leghisti e cinquestelle, ma facendo proposte concrete su come rafforzare e subito le istituzioni che alla politica hanno consentito di vivere e di giovare alla Repubblica. Istituzioni che sono il Parlamento, ma anche i partiti per troppo tempo considerati anche nel dibattito interno ad essi da superare in tempi di bipolarismo, vocazioni maggioritarie e leaderismo.
In questo contesto sarebbe più che mai opportuno che la sinistra avesse, nelle sue diverse articolazioni (Congresso del Pd compreso), il coraggio di riconoscere che l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti è servito invece che a moralizzare la stessa, a corrodere e indebolire i suoi strumenti. In fondo la strada per far ritrovare alla politica, dopo la Caporetto di questi giorni, la strada per Vittorio Veneto, potrebbe anche partire dal coraggio di sfidare l’impopolarità, nel segno della nostra migliore storia costituzionale.
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Guido Compagna
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