Io sono uscito dal PD perché ero stanco di litigare con mio figlio. Mi sentivo obbligato, per lealtà e disciplina, a difendere l’indifendibile: riforma del mercato del lavoro, riforma della scuola, bonus vari.
Io sono uscito dal PD perché sentivo che era giunto il momento di emendarmi da un errore politico e storico degli anni ’90: l’aver creduto che ci fosse una “terza via”, l’aver ceduto al fascino del blairismo che, in realtà, gareggiava con la destra sul terreno dell’inviolabilità e della sovranità del mercato. Sono passati quasi trenta anni e c’è chi vorrebbe rimanere all’interno di questo solco, ritenendo che chi ha prodotto diseguaglianze diffuse e inaccettabili sia lo stesso che possa risolverle.
Io sono uscito dal PD perché sono contro le semplificazioni populiste e trovo inaccettabili l’idea di una riduzione fiscale per tutti, a prescindere dai livelli di reddito, o la canea contro le retribuzioni dei parlamentari quando il vero problema non è la quantità dei loro emolumenti, ma la qualità di coloro che li percepiscono, considerata l’alta responsabilità di un ruolo che decide sui destini di un popolo. Non accetto l’idea che un fenomeno epocale e drammatico come quello dell’immigrazione possa essere affrontato principalmente come questione di ordine pubblico con norme che negano diritti elementari e l’integrazione liquidata con un inaccettabile “aiutiamoli a casa loro”. E sono per il finanziamento pubblico ai partiti quale garanzia di trasparenza e di democrazia. Poi chi se ne approfitta o ruba, vada in galera.
Io sono uscito dal PD non perché Enrico Rossi, lo dico parafrasando Giorgio Gaber, è una brava persona (anche per questo) ma perché ritenevo che un nuovo e originale soggetto politico di sinistra, che si ispirasse ai valori del socialismo, dell’ambientalismo e del cattolicesimo democratico, potesse e dovesse andare oltre un riformismo asfittico e debole che ritiene di sinistra allo stesso modo sia l’affermazione di alcuni sacrosanti diritti civili, che la contrazione, se non la negazione, di diritti sul lavoro.
Io sono uscito da PD perché non potevo più sostenere pubblicamente che la legge sulle unioni civili fosse opera meritoria del Governo, quando il governo con quella norma non c’entra una mazza! Il disegno di legge Cirinnà, parlamentare e non membro del governo, ha avuto un normale iter legislativo. Anzi, quando il governo è intervenuto è stato solo per richiedere lo stralcio della cosiddetta “stepchild adoption”, o adozione del figlio dell’altro coniuge, che rischiò di far saltare l’intera norma.
Io sono uscito dal PD perché non ho mai capito, e sarà sicuramente un mio limite, cosa diavolo significasse “partito liquido”. L’unica cosa che ho capito (è sicuramente un mio limite) è che trattasi di un partito che, in generale, si anima in occasione di primarie e congressi e che, molto meglio e molto di più di Nostro Signore Gesù Cristo, moltiplica tessere e voti (alle primarie, non alle secondarie).
E’ chiaro che gli investimenti pubblici hanno un moltiplicatore di gran lunga più alto rispetto ad interventi sulla fiscalità e che spingerebbero l’economia del nostro Paese molto più in alto, per le ricadute che avrebbero in termini di occupazione, reddito e consumi.
E’ chiaro che occorrerà agire anche sulla pressione fiscale rispettando, però, non un principio rivoluzionario ma semplicemente la nostra Carta Costituzionale circa la progressività. Tradotto: chi ha di più deve pagare di più, chi ha meno deve pagare di meno.
E’ chiaro che chi urla “meno tasse per tutti” insegue voti e destra (voti di destra) ma non spiega come si finanzieranno servizi e welfare universali: sanità pubblica, istruzione, assistenza ad anziani, tanto per citarne solo alcuni.
Mi è chiaro che lo 0,5 di PIL in più sulle previsioni lo destinerei ad un grande piano di investimenti per l’occupazione del Mezzogiorno, piuttosto che per far pagare meno tasse a Cattaneo, Marchionne, Briatore & C.
Mi è chiaro che tutto mi sarei aspettato dalla vita, tranne che un giorno, in pieno terzo millennio, un senatore settantenne dello Stato del Vermont, competesse alle primarie dei democratici statunitensi per la Presidenza parlando di socialismo e prendendo più voti della Clinton (miracolata dai caucus). Oltre che vedere Comunardo Niccolai in mondovisione (cit. dell’indimenticabile Manlio Scopigno).
Mi è assolutamente chiaro che anche Giuliano Pisapia è una brava persona.
E’ oscuro l’insistere su una nuova forza politica “fluida”. La fluidità è una caratteristica dei liquidi, tanto dall’esserne diventato sinonimo. “Riborda”, direbbero in Toscana.
E’ oscuro affermare di lavorare alla creazione di un nuovo soggetto politico alternativo al PD e che si ponga in netta discontinuità con le politiche economiche e sociali del governo dei mille giorni, e allo stesso tempo dichiarare di sentirsi a casa alla “Festa de l’Unità”.
E’ oscuro il disegno di un Ulivo 2.0. Quella stagione è finita, lo ha certificato proprio la nascita del PD.
E’ oscura la circostanza che un giornalista di fama, ottima e degna persona, con in tasca la tessera dei democratici, sia il Richelieu di chi si propone di assumere la leadership di un partito che con i democratici dovrà necessariamente competere alle prossime elezioni (“competition is competition” disse Romano Prodi nel 1999 presentando una sua lista alle europee in competizione con Popolari e DS).
E’ oscuro l’orientamento a porre veti sulle candidature e a negare l’urgenza e la necessità un processo democratico che definisca le rappresentanze sia a livello territoriale che a livello nazionale.
“La mortadella è comunista. Il salame è socialista. Il prosciutto crudo è democristiano. La coppa è liberale. La salsiccia è repubblicana. Il prosciutto cotto è fascista” (Francesco Nuti – “Caruso Paskoski. Di padre polacco”).
E’ ancora oscuro capire cosa vorrebbe mangiare Pisapia. Vorremmo sia chiaro al più presto possibile.
—
Nella foto di copertina: Francesco Nuti in una scena di “Caruso Paskoski. Di padre polacco”