Mentre si consumava l’epilogo della ignobile vicenda della nave Diciotti, e all’indomani del crollo del ponte dell’autostrada di Genova, due importanti giornali, il “Corriere della sera” e “Il Sole 24 Ore” dedicavano i principali commenti di prima pagina ai rischi che si correrebbero con il ritorno di un più rilevante ruolo dello Stato nella nostra economia. Così sul Corriere Alberto Alesina e Francesco Giavazzi se la prendevano con chi “anzichè aiutare le aziende a crescere punisce quelle che cercano di diventare globali aprendo impianti in giro per il mondo” e, a sua volta sul Sole Sergio Fabbrini denunciava i gravissimi pericoli di un riaffermarsi di “sovranismo e statalismo“, come principali caratteristiche e colpe della maggioranza che sostiene l’attuale governo. Tanto gli editorialisti del Corriere che quello del Sole tuttavia come ricettta per costrastare questi pericoli (quello di qualche nazionalizzare soprattutto) non andavano oltre quelle che sono stati i tradizionali capisaldi delle politiche neoliberiste che dopo le stagioni dei Reagan e della Thacher sono state raccolte dalle sinistre (?) prima di Blair e poi (un po’ in ritardo) dai Macròn e dai Renzi: assoluta flessibilità e precarietà nelle politiche del lavoro; prevalenza del tema della governabilità rispetto a quello delle rappresentitività nelle politiche costituzionali.
Ora io credo che attribuire come principali caratteristiche ai Cinquestelle e alla Lega lo statalismo e il sovranismo è, oltre che uno sciocco slogan propagandista, un modo di attribuire loro una dignità che non meritano. I grillini sono un confuso movimento prevalentemente reazionario, nato all’insegna del “vaffà“, con pericolose tendenze di semplificazione delle istituzioni democratiche e rappresentative in nome delle nuove e moderne tecnologie controllate da un loro sostenitore. Quanto alla Lega di Salvini a me sembra che la sua principale caratteristica, come dimostra l’ignobile storia della Diciotti, sia di chiara impronta fascista. Alla ricerca continua dello scontro, anche fisico, con chi rappresenta la vita e articolazione democratica della Repubblica: dalla magistratura alle alte cariche dello Stato.
Vale, poi, la pena di chiedersi se davvero basta dichiararsi “sovranisti” per potersi considerare difensori della sovranità dello Stato. Ma davvero un’associazione (anche questa prevalentemente fascista) come quella guidata da Gianni Alemanno e Francesco Storace può appropriarsi del pomposo nome di “sovranista” ed essere presa sul serio? Sovranità non è una mala parola, anzi. E’ il succo e la lettera del secondo comma dell’articolo 1 della nostra Costituzione: “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“. Prima parte della Carta, quella che (giustamente) neanche il renzismo ha provato a capovolgere.
Quanto allo statalismo risorgente che tanto preoccupa gli editorialisti del Corriere non mi pare siamo in una situazione di allarme. Può anche darsi che quella delle nazionalizzazioni per le autostrade e altro siano una ricetta non appropriata anche dopo quanto accaduto a Genova. Ma al tempo stesso credo sia legittimo preoccuparsi che lo Stato garantisca il bene comune di opere e servizi che riguardano il pubblico oltre che gli azionisti di chi quei beni ha avuto in concessione. E’ lecito riflettere sul fatto che le privatizzazioni sono state fatte con più attenzione alla rapidità di far cassa, talvolta senza opportune liberalizzazioni del mercato a garanzia della concorrenza, che alla esigenza di grantire l’interesse pubblico? Ed è lecito, infine, rimpiangere i manager delle partecipazioni statali, da Saraceno a Fabiani, da Bernabei ad Agnes, per pensare che in campo bancario i Mattioli e i Cingano erano forse un po’ più bravi dei Profumo e dei Messina? O basta dire statalismo per liquidare una stagione che è più da rimpiangere che da condannare?
Infine, una preoccupazione, forse sottovalutata dinanzi ai drammi di Genova e di Catania. Segnalo tre fatti: un’intervista di Davide Casaleggio sull’inutilità del Parlamento; un’analogo intervento del sottosegretario del sottosegretario leghista Giorgetti al meeting di Comunione e Liberazione, e il riproporsi di tentazioni di ipotesi presidenziali all’interno dell’ex maggioranza renziana del Pd. E l’antiparlamentarismo sì che è caratterizzazione robusta di ogni populismo e soprattutto un’insidia molto forte per la tenuta delle istituzioni. Molto più di sovranismo e statalismo.
Il rilancio del liberismo alternativa del sovranismo grilloleghista? Le insidie dell’antiparlamentarismo
Mentre si consumava l’epilogo della ignobile vicenda della nave Diciotti, e all’indomani del crollo del ponte dell’autostrada di Genova, due importanti giornali, il “Corriere della sera” e “Il Sole 24 Ore” dedicavano i principali commenti di prima pagina ai rischi che si correrebbero con il ritorno di un più rilevante ruolo dello Stato nella nostra economia. Così sul Corriere Alberto Alesina e Francesco Giavazzi se la prendevano con chi “anzichè aiutare le aziende a crescere punisce quelle che cercano di diventare globali aprendo impianti in giro per il mondo” e, a sua volta sul Sole Sergio Fabbrini denunciava i gravissimi pericoli di un riaffermarsi di “sovranismo e statalismo“, come principali caratteristiche e colpe della maggioranza che sostiene l’attuale governo. Tanto gli editorialisti del Corriere che quello del Sole tuttavia come ricettta per costrastare questi pericoli (quello di qualche nazionalizzare soprattutto) non andavano oltre quelle che sono stati i tradizionali capisaldi delle politiche neoliberiste che dopo le stagioni dei Reagan e della Thacher sono state raccolte dalle sinistre (?) prima di Blair e poi (un po’ in ritardo) dai Macròn e dai Renzi: assoluta flessibilità e precarietà nelle politiche del lavoro; prevalenza del tema della governabilità rispetto a quello delle rappresentitività nelle politiche costituzionali.
Ora io credo che attribuire come principali caratteristiche ai Cinquestelle e alla Lega lo statalismo e il sovranismo è, oltre che uno sciocco slogan propagandista, un modo di attribuire loro una dignità che non meritano. I grillini sono un confuso movimento prevalentemente reazionario, nato all’insegna del “vaffà“, con pericolose tendenze di semplificazione delle istituzioni democratiche e rappresentative in nome delle nuove e moderne tecnologie controllate da un loro sostenitore. Quanto alla Lega di Salvini a me sembra che la sua principale caratteristica, come dimostra l’ignobile storia della Diciotti, sia di chiara impronta fascista. Alla ricerca continua dello scontro, anche fisico, con chi rappresenta la vita e articolazione democratica della Repubblica: dalla magistratura alle alte cariche dello Stato.
Vale, poi, la pena di chiedersi se davvero basta dichiararsi “sovranisti” per potersi considerare difensori della sovranità dello Stato. Ma davvero un’associazione (anche questa prevalentemente fascista) come quella guidata da Gianni Alemanno e Francesco Storace può appropriarsi del pomposo nome di “sovranista” ed essere presa sul serio? Sovranità non è una mala parola, anzi. E’ il succo e la lettera del secondo comma dell’articolo 1 della nostra Costituzione: “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“. Prima parte della Carta, quella che (giustamente) neanche il renzismo ha provato a capovolgere.
Quanto allo statalismo risorgente che tanto preoccupa gli editorialisti del Corriere non mi pare siamo in una situazione di allarme. Può anche darsi che quella delle nazionalizzazioni per le autostrade e altro siano una ricetta non appropriata anche dopo quanto accaduto a Genova. Ma al tempo stesso credo sia legittimo preoccuparsi che lo Stato garantisca il bene comune di opere e servizi che riguardano il pubblico oltre che gli azionisti di chi quei beni ha avuto in concessione. E’ lecito riflettere sul fatto che le privatizzazioni sono state fatte con più attenzione alla rapidità di far cassa, talvolta senza opportune liberalizzazioni del mercato a garanzia della concorrenza, che alla esigenza di grantire l’interesse pubblico? Ed è lecito, infine, rimpiangere i manager delle partecipazioni statali, da Saraceno a Fabiani, da Bernabei ad Agnes, per pensare che in campo bancario i Mattioli e i Cingano erano forse un po’ più bravi dei Profumo e dei Messina? O basta dire statalismo per liquidare una stagione che è più da rimpiangere che da condannare?
Infine, una preoccupazione, forse sottovalutata dinanzi ai drammi di Genova e di Catania. Segnalo tre fatti: un’intervista di Davide Casaleggio sull’inutilità del Parlamento; un’analogo intervento del sottosegretario del sottosegretario leghista Giorgetti al meeting di Comunione e Liberazione, e il riproporsi di tentazioni di ipotesi presidenziali all’interno dell’ex maggioranza renziana del Pd. E l’antiparlamentarismo sì che è caratterizzazione robusta di ogni populismo e soprattutto un’insidia molto forte per la tenuta delle istituzioni. Molto più di sovranismo e statalismo.
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Guido Compagna
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