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Un sistema parlamentare nel quale la presidenza della Repubblica ha un ruolo politico e sistemico fondamentale

Può una Repubblica parlamentare, quale è stata è e, auspicabilmente, continuerà ad essere la nostra avere come perno del proprio sistema politico il ruolo del presidente della Repubblica? Certamente sì. Ed è quanto prevede la nostra Costituzione, formale ma con significativi elementi di flessibilità e quanto a quelli di noi che hanno studiato materie giuridiche, hanno insegnato i costituzionalisti proprio nei capitoli dedicati al presidente della Repubblica.

E’ questa la prima considerazione generale che mi sento di fare dopo aver letto il bel libro “Sul colle più alto“, edito da Solferino in questi giorni nelle librerie e nelle edicole, nel quale Valdo Spini già parlamentare e uomo di governo, fa parlare i fatti con una descrizione accurata tra la cronaca e la storia delle diverse elezioni del capo dello Stato da Einaudi a oggi.

Nella foto: Valdo Spini, Sul colle più alto. L’elezione del presidente della Repubblica dalle origini a oggi. Editore Solferino

La seconda considerazione, che discende dalla prima è quanto futili siano le ipotesi affacciate da più parti (Fratelli d’Italia e Lega ma non solo) sull’opportunità di arrivare ad una Repubblica presidenziale, magari anche con l’elezione diretta del capo dello Stato (Meloni) o con un non meglio identificato presidenzialismo di fatto (Giorgetti).
La terza considerazione è che nell’Italia di oggi, quella dell’antipolitica, figlia di girotondi inneggianti alla magistratura e di neopolitici che definivano la politica “un teatrino” non è certo il Quirinale ad essere stato motivo e punto di crisi. I Presidenti della Repubblica che si sono succeduti da “mani pulite” ai giorni nostri, pur nella diversa interpretazione del proprio ruolo, hanno fatto di tutto per contenere l’antipolitica dilagante, spesso esercitando un vero e proprio ruolo di supplenza, ma sempre restando nel recinto del nostro, efficacemente elastico, sistema costituzionale.

Spesso, anche nella cosiddetta prima Repubblica, si è descritto il ruolo del capo dello Stato come quello di qualcosa di simile a un arbitro o a un notaio. Non è mai stato così. La presidenza della Repubblica affida al suo titolare pro tempore (7 anni) un ruolo di solida rilevanza politica. Basta aggiungere che il Quirinale nomina i ministri e che il presidente del Consiglio può solo proporli senza alcun potere di revoca. Motivo per il quale in questi giorni Mattarella ha da un lato ribadito senza se e senza ma la sua assoluta indisponibilità a un secondo mandato, dall’altro la regola per la quale il presidente della Repubblica, una volta eletto, deve avere soltanto un obiettivo, quello del bene comune di tutto il Paese, spogliandosi così di ogni riferimento di parte. Proprio per essere al meglio punto di equilibrio del sistema politico. Regola che, pur tra tante difficoltà, anche i predecessori di Mattarella con poche eccezioni sono quasi sempre riusciti a far prevalere.

Naturalmente questo non toglie, e il libro di Spini lo racconta assai bene, che le elezioni del capo dello Stato sono state spesso teatro di duro scontro politico. Tra i partiti e soprattutto nei partiti. Non si contano i candidati ufficiali della Dc bocciati dalle votazioni spesso occasione di veri e propri regolamenti di conti tra le correnti. Eppure le maggioranze politiche (quelle che sostenevano il governo) sia centriste sia di centrosinistra non hanno provocato mai o quasi mai crisi di governo a breve scadenza.
Resta il fatto che per chi come me e Valdo Spini ha superato i settant’anni e si è sempre trovato fin da bambino (in famiglie nelle quali la politica aveva un’attenzione particolare e centrale) ad appassionarsi proprio in quelle occasioni (Gronchi, e poi Segni, Saragat, Leone) a quello che sarebbe stato il futuro della nostra vita: la politica.

Oggi tutto è più complicato perchè allora comunque c’erano partiti forti e Parlamento eletto dai cittadini, e non nominati da capi più o meno improvvisati. In più c’è anche il Covid e una maggioranza di governo che è tanto ampia quanto fragile di tenuta. Fragilità forse diretta conseguenza della eccessiva ampiezza. E allora tutto diventa più difficile. Eppure quelle elezioni in Parlamento che appassionavano me e altri quando eravamo più adolescenti che giovani, facendoci scoprire le asprezze ma anche la passione della politica potrebbero aiutare la politica, magari con partiti veri a riprendersi il proprio ruolo.

Qualcosa che è più una speranza che un’ipotesi. E allora proviamo almeno a mettere in sicurezza l’istituzione presidente della Repubblica, magari provando a escludere le proposte più avventurose (Berlusconi, ma non solo) e accontentandoci di soluzioni più concrete a portata di mano. E comunque mettendo da parte spiegazioni del tipo: quello non può andare al Quirinale perchè deve restare a palazzo Chigi. O peggio ancora: ci può andare se ci mettiamo d’accordo anche su chi deve succedergli alla presidenza del Consiglio. Dimenticando che l’incarico di scegliere chi dovrà formare il Governo è prerogativa esclusiva del presidente della Repubblica che il Parlamento sceglierà se tutto va bene per fine gennaio.
Ancora una volta affidiamoci alla Costituzione e che Dio ce la mandi buona.

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