Elezioni_Europee_2019

Il centrosinistra verso le Europee con partiti deboli e leader incerti

Lunedì scorso su “RepubblicaAldo Diamanti ha osservato che oggi la democrazia rappresentativa sta cambiando: i partiti sono deboli e così ci si avvia ad una democrazia di leader. I sintomi, in Italia più che altrove, ci sono tutti. Almeno a prima vista. Basta pensare alla Lega di Salvini e al movimento 5 Stelle di Casaleggio, Grillo e Di Maio. Partiamo di qui. E allora mi permetto di fare due obiezioni. La prima riguarda la Lega: siamo sicuri che Salvini sia un leader forte davvero? E per forte intendo anche autorevole. Io credo che sia soprattutto un capo arrogante, che si fa forte di un partito e di un elettorato fatto più di vassalli tifosi che di militanti convinti legati da un pensiero politico. La seconda riguarda i Cinque Stelle. Qui la leadership si divide tra un proprietario controllore (Casaleggio), un brillante comico ispiratore (Grillo) e un giovane politico ordinato e attento a non entrare in rotta di collisione con proprietario e ispiratore che ha il compito di tenere insieme un elettorato cresciuto a suon di vaffa. Ecco, credo che questi leader, cresciuti al ritmo di slogan inneggianti a ruspe e vaffa, passando per i raduni di Pontida e le votazioni on line su piattaforme particolari con la democrazia rappresentativa abbiano poco a che fare.

Quanto al centrosinistra (perchè è di esso che mi vorrei principalmente occupare in questa sede) le cose non vanno molto meglio. Anche qui c’è un certo affollamento di aspiranti leader (si pensi ai candidati del Pd alle primarie), ma il tutto con partiti deboli e spesso neanche formalizzati. E’ il caso di Leu che non è riuscita a farsi partito dopo averlo promesso nella campagna elettorale per le politiche, ma è anche il caso di altre piccole formazioni da Sinistra italiana a Potere al Popolo al movimento di De Magistris. Credo che in molti casi un errore di queste formazioni sia stato quella di cercare ad ogni costo un leader (Pisapia, Grasso e ora magari anche Calenda) piuttosto che mettere in campo solidi gruppi dirigenti sia sui territori sia a livello centrale.

Un ragionamento analogo si può fare per il Pd. Nel quale si è partiti da una sorta di peccato originale: quello di teorizzare un partito leggero fatto più di elettori e di elezioni primarie che di iscritti e congressi veri con gruppi dirigenti solidi e autorevoli. Un peccato che ha consentito che ad un certo punto, con rapida scalata, un dirigente spregiudicato e di talento se ne sia (politicamente) impadronito in nome della “rottamazione” (parola atroce se applicata alla politica). Parola che non a caso nel suo ultimo libro Enrico Letta accomuna alle altre due parole d’ordine della Lega e dei 5Stelle: ruspa e vaffa. Parole che delimitano una sorta di cerchio magico del populismo nazionale.
La parola rottamazione sembra finalmente uscita dal lessico del Pd. E di questo va dato atto a Zingaretti, ma anche a Martina e più in generale al pur non brillante svolgimento della prima fase dei congressi dei circoli del Pd. Un passo avanti che non può essere ignorato soprattutto dalle altre formazioni di centrosinistra e che dovrebbe essere in grado di facilitare liste e alleanze in vista delle ormai imminenti europee..

Non a caso ho parlato di liste e alleanze, non di fronti. Sono infatti d’accordo su quanto osservato da Enrico Letta prima (un fronte potrebbe legittimare e aiutare proprio i cosiddetti sovranisti) e da Massimo D’Alema oggi in una intervista a “La Stampa“, nella quale osserva che la contrapposizione europeisti-sovranisti può diventare una trappola che può condurre la sinistra alla sconfitta.
Io credo che un’alleanza delle forze che si rifanno alla sinistra democratica per le prossime europee, tutt’altro che facile a realizzarsi, sia auspicabile. In politica tutto è negoziabile. Anche con Calenda. Suggerirei di fare attenzione a due rischi. Il primo è che quella della costruzione di un fronte sia una fuga in avanti (un andare oltre) rispetto alla più difficile costruzione di partiti solidi e credibili. La seconda è quella della tentazione di delimitazione del campo. Non si può dire e soprattutto non lo può dire chi propone un fronte o un manifesto: questo sì e questo no. Anche perchè se si vuol fare qualcosa che abbia a che fare con il socialismo europeo sarebbe bizzarro dire: la sinistra del PdLeu no. Entrambi fanno riferimento al partito del socialismo europeo.

E allora bisogna partire dai contenuti. Un’alleanza europeista riformista che si rifaccia al socialismo europeo e agli ecologisti è possibile proprio con una proposta per l’Europa. La quale non può che superare quella vecchia impostazione per la quale, come osserva D’Alemabisognava che la politica arretrasse e lasciasse tutto lo spazio all’economia e la finanza“. La sinistra democratica può allearsi soltanto partendo da un superamento delle vecchie politiche noliberiste che hanno prodotto solo diseguaglianze, aprendo esse sì, praterie alla propaganda sovranista e populista.

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