Costituzione

Renzi sconfitto dal “patriottismo costituzionale”

Quale è il tema, tra i tanti, possibili commenti sull’esito del referendum del 4 dicembre, che merita una particolare attenzione? Ritengo che vada confutata e discussa un’interpretazione che, in Italia e all’estero, molti si sono affrettati ad abbracciare. L’idea, cioè, che questo evento sia riconducibile alla categoria dell’”ondata populista”, e quindi in qualche modo assimilabile alla Brexit o all’elezione di Trump. Ritengo questa lettura fuorviante.

Certamente le dimensioni del “no”, e l’altissima partecipazione al voto, sono spiegabili solo a partire da una molteplicità di motivazioni, anche molto diverse tra loro, che si sono coagulate intorno a quest’opzione. Ma, come mostrano le prime analisi sui flussi di voto, nessuna motivazione può essere considerata esclusiva o dominante. Ma le prevalenti sono sicuramente due: uno scatto di difesa e di “patriottismo costituzionale” e una reazione di protesta e di rifiuto nei confronti del governo e della stessa personalità di Renzi.

LA RIFORMA COSTITUZIONALE NON E’ BANDIERA DI PARTE – Cominciamo da quest’ultima. Oggi si sprecano le critiche alla condotta sicuramente avventurista del capo del governo. E gli errori commessi sono evidenti. Non si può proporre una riforma costituzionale facendone una bandiera di parte; non si può farlo senza costruire una cintura protettiva di consenso e di condivisione; non lo si può fare senza preoccuparsi di tenere insieme il proprio stesso partito e un’ampia area di elettorato di sinistra che è ormai fuori dal PD; non si può proporre un testo che viene contestato e criticato dalla gran parte della cultura costituzionalistica italiana. Tutto vero: ma c’è di più: emergono i limiti profondi di cultura politica del segretario-presidente: una sua concezione della leadership “solitaria ed escludente”, come l’ha definita Prodi, con una dichiarazione di voto per il Si, che conteneva una piena legittimazione delle ragioni del No. Ma non è solo una questione di (cattivo) carattere personale, o di una sconsiderata presunzione: è un’idea della leadership dai tratti intrinsecamente plebiscitari e profondamente divisiva, ciò che è venuto pienamente alla ribalta. La vera leadership interpreta se stessa come espressione di idee e di valori comuni, emerge – quando emerge – da un corpo collettivo, rappresenta una sintesi, una memoria storica, un’identità collettiva. La vera leadership è capace di esprimere una visione “egemonica”, nel senso gramsciano del termine: ossia, una profonda capacità di interpretare le ragioni degli altri, di farsene carico, di unire e di far incontrare le diversità.

RENZI PRIGIONIERO DELLA RETORICA DELLA ROTTAMAZIONE – Nulla di tutto questo: Renzi è rimasto prigioniero della retorica della “rottamazione” ed è stato lui, in primo luogo, e poi nel corso della campagna referendaria, a soffiare sul fuoco di un discorso populista. Un populismo “dall’alto”, che non poteva non rimanere vittima di se stesso, e di quella che i filosofi del linguaggio chiamano una “contraddizione performativa”: ossia, dire qualcosa che contraddice quello che stai facendo, o fare qualcosa che nega quello che stai dicendo. Non si può giustificare una riforma costituzionale alzando i toni contro “i politici” e la “politica”, non puoi proporti come l’anti-casta e nello stesso tempo esaltare le doti dell’ing. Marchionne, usare le retorica della “bellezza” nel momento stesso in cui l’assenza di futuro è il tratto dominante della coscienza collettiva. Non puoi continuare ad esaltare i miracoli del tuo “Jobs act”, quando centinaia di migliaia di giovani continuano a sperimentare una disperante precarietà dei lavori che ti vengono offerti (se e quando ti vengono offerti…).
Insomma, il bagaglio delle idee e del linguaggio di Renzi hanno mostrato non solo una intrinseca inadeguatezza, ma anche una radicale dissonanza dalle attese e dagli umori di larga parte del paese. Si può raccogliere la reazione che tutto ciò ha sollevato sotto la comune etichetta del “populismo”? Non direi proprio. Posto di fronte ad una domanda, che sottintendeva una chiave interpretativa (se le cose vanno male, è “colpa” di una Costituzione “vecchia”), la risposta è stata un gigantesco “no, grazie”…La “colpa” è di una politica che non sa dare risposte e offrire prospettive. Molto semplice, in fondo. Ed è questa la chiave per capire una parte decisiva del No, specie nel centro-sud e per tutto il voto giovanile, al 70-80% per il no, in tutto il paese.

E’ SCATTATO IL “PATRIOTTISMO COSTITUZIONALE” – Ma a tutto ciò si aggiunge un altro elemento di fondo: è scattata, in una parte rilevante dell’elettorato democratico e di sinistra, una reazione di difesa e di “attaccamento” alla Costituzione. Habermas, a suo tempo, aveva parlato di “patriottismo costituzionale”: con questo termine si intende un’identificazione ai principi fondativi di una comunità politica, in presenza di un radicale e irreversibile pluralismo ideale, politico e religioso. Non più un “patriottismo” su basi etniche, nazionalistiche o religiose, ma un riconoscersi collettivo nei valori politici e procedurali di una costituzione. Una comunità politica si “tiene insieme” solo se c’è una condivisione del quadro comune di regole e procedure che regolano la convivenza; e se questo quadro comune viene anche inteso come un “progetto incompiuto”, un qualcosa su cui lavorare, per attuarne i principi e farlo vivere ogni giorno. Questo vuol dire forse che un Costituzione è intangibile e non riformabile? No, di certo. Ma vuol dire che anche le riforme costituzionali devono essere vissute e concepite come un ripensamento collettivo e condiviso, come un grande momento collettivo di riformulazione del “patto” originario. E’ questo forse il più grande “peccato” che si può rimproverare a Renzi: aver “immiserito” il confronto sulle possibili modifiche costituzionali, averlo ridotto ad un questione di “tagli delle poltrone”. Nell’illusione, peraltro verificata come tale dall’esito del voto, che impostare il discorso in questi termini avrebbe potuto intercettare gli umori “anti-politici” che attraversano l’opinione pubblica. E anche in questo caso, una parte dell’elettorato (e anche un quarto degli attuali elettori del PD, come mostrano le prime analisi del voto), ha risposto ”no, grazie”. Meglio tenersela, questa Costituzione, che è una garanzia per tutti.

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