Soprattutto per quanto riguarda il risultato delle regionali si può dire che siamo dinanzi a un risultato equilibrato. Il 7 a 1 chiesto da Salvini non c’è stato; la sinistra ha vinto non soltanto in Campania, ma anche (e con buon margine) in Toscana con EugenioGiani e in Puglia con MicheleEmiliano. A dispetto di tutti i sondaggi che si sono mostrati questa volta quanto mai imprecisi. I Cinquestelle che avevano sdegnosamente rifiutato un accordo con il Pd nelle Regioni a rischio, hanno subito gli effetti di un voto disgiunto, praticato anche dai loro elettori. Naturalmente il risultato (inferiore alle attese, ma rilevante nel Mezzogiorno e nelle periferie) del Sì nel referendum taglia parlamentari consente anche al movimento di Grillo e Casaleggio di annunciare una parziale vittoria.
Vediamo ora come si presenta il quadro politico dopo il voto. Partiamo dal Centrosinistra. Non soltanto i sondaggi, ma anche parte rilevante dei commentatori, avevano previsto, per certi versi auspicato, una forte sconfitta di Zingaretti e alleati, in grado di indebolire il Governo Conte e, magari, aprire la strada dell’esecutivo a soluzioni tecniche. Questo non è accaduto. Anzi. Anche dai giornali di stamani si evince che il Governo è più forte e può andare con una certa sicurezza ad affrontare la prova del confronto con l’Europa. Merito di Zingaretti e di Conte? Fino a un certo punto. Certamente demerito di Salvini e della sua voglia di stravincere che già in altre occasioni lo ha portato a perdere.
E visto che siamo a Salvini, diamo uno sguardo al campo del centrodestra. Il leader della Lega non ha sfondato al Sud, contenuto dalla furba condotta di De Luca e, tutto sommato, dal voto utile scelto da buona parte dell’elettorato grillino in Puglia. Ma ora Salvini si trova impegnato (in un momento per lui complicato da vicende giudiziarie che non riguardano solo gli sbarchi) un fronte interno (Zaia) e un fronte esterno (Meloni).
Non c’è dubbio che oggi la Lega può vantare (e come!) una strepitosa vittoria in Veneto, dove il governatore Zaia ha condotto una gara a sé: tutta imperniata sul Veneto e sui buoni risultati ottenuti nel contrasto al Covid. Tutto questo gli ha consentito di rafforzarsi anche come punto di riferimento di un elettorato leghista che comincia a non poterne più delle fughe in avanti di Salvini. Vedremo, ma probabilmente nel Carroccio si aprirà un confronto politico da non sottovalutare.
Per quanto riguarda il fronte esterno ci sono da fare i conti con Meloni e Fratelli d’Italia, che hanno conquistato solo le Marche e, soprattutto, escono sconfitti in Puglia. Ma che, anche in conseguenza dell’ennesimo ridimensionamento di Forza Italia (sotto il 10 per cento anche in Campania), è sempre più punto di riferimento delle destre nel Centro-sud. Insomma, una destra che torna alle origini e che meglio di altri sembra interpretare le parole d’ordine del nazional populismo.
Infine il referendum. Il Sì ha vinto comodamente con il 70 per cento circa. Però è anche vero che (sulla carta) aveva il sostegno di tutto lo schieramento delle attuali forze politiche: dai Cinquestelle, alle destre, al Pd. Eppure il 30% dell’elettorato non ha seguito queste indicazioni. E i primi studi sui flussi elettorali ci dicono che questa disubbidienza è stata diffusa soprattutto nel Pd e in altre forze di sinistra. Sarebbe comunque sbagliato sottovalutare il fatto che il Sì è andato forte soprattutto nel Mezzogiorno (riscoprendo le tentazioni del dopoguerra monarchiche laurine e qualunquiste, oggi rinverdite dai neoborbonici) e nelle periferie delle grandi città. Insomma: guai a considerare l’ondata populista definitivamente battuta.
E allora adesso la parola dovrebbe tornare al Parlamento per mettere ancora una volta mano alle riforme. Credo però che abbia ragione Stefano Folli a scrivere su “Repubblica” che in questa legislatura “meglio non farsi troppe illusioni“. Condivido anche la sua opinione sul fatto che “sarebbe più che sufficiente una onesta legge elettorale per non stravolgere gli equilibri della rappresentanza come conseguenza sgradita del referendum“. Ripartire dunque dalla legge elettorale. Ed è certamente un fatto positivo che Zingaretti nei suoi primi commenti abbia fatto riferimento alla proporzionale e al voto di preferenza. Sui quali potrebbero essere d’accordo anche i grillini, tra i quali non tutti sembrano entusiasti del metodo piattaforma Rousseau.
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Foto in evidenza : Nicola Zingaretti, segretario del Pd
Il centrosinistra tiene grazie a Toscana e Puglia. Salvini non sfonda al Sud, ma il populismo pur ridimensionato resta in agguato
Soprattutto per quanto riguarda il risultato delle regionali si può dire che siamo dinanzi a un risultato equilibrato. Il 7 a 1 chiesto da Salvini non c’è stato; la sinistra ha vinto non soltanto in Campania, ma anche (e con buon margine) in Toscana con Eugenio Giani e in Puglia con Michele Emiliano. A dispetto di tutti i sondaggi che si sono mostrati questa volta quanto mai imprecisi. I Cinquestelle che avevano sdegnosamente rifiutato un accordo con il Pd nelle Regioni a rischio, hanno subito gli effetti di un voto disgiunto, praticato anche dai loro elettori. Naturalmente il risultato (inferiore alle attese, ma rilevante nel Mezzogiorno e nelle periferie) del Sì nel referendum taglia parlamentari consente anche al movimento di Grillo e Casaleggio di annunciare una parziale vittoria.
Vediamo ora come si presenta il quadro politico dopo il voto. Partiamo dal Centrosinistra. Non soltanto i sondaggi, ma anche parte rilevante dei commentatori, avevano previsto, per certi versi auspicato, una forte sconfitta di Zingaretti e alleati, in grado di indebolire il Governo Conte e, magari, aprire la strada dell’esecutivo a soluzioni tecniche. Questo non è accaduto. Anzi. Anche dai giornali di stamani si evince che il Governo è più forte e può andare con una certa sicurezza ad affrontare la prova del confronto con l’Europa. Merito di Zingaretti e di Conte? Fino a un certo punto. Certamente demerito di Salvini e della sua voglia di stravincere che già in altre occasioni lo ha portato a perdere.
E visto che siamo a Salvini, diamo uno sguardo al campo del centrodestra. Il leader della Lega non ha sfondato al Sud, contenuto dalla furba condotta di De Luca e, tutto sommato, dal voto utile scelto da buona parte dell’elettorato grillino in Puglia. Ma ora Salvini si trova impegnato (in un momento per lui complicato da vicende giudiziarie che non riguardano solo gli sbarchi) un fronte interno (Zaia) e un fronte esterno (Meloni).
Non c’è dubbio che oggi la Lega può vantare (e come!) una strepitosa vittoria in Veneto, dove il governatore Zaia ha condotto una gara a sé: tutta imperniata sul Veneto e sui buoni risultati ottenuti nel contrasto al Covid. Tutto questo gli ha consentito di rafforzarsi anche come punto di riferimento di un elettorato leghista che comincia a non poterne più delle fughe in avanti di Salvini. Vedremo, ma probabilmente nel Carroccio si aprirà un confronto politico da non sottovalutare.
Per quanto riguarda il fronte esterno ci sono da fare i conti con Meloni e Fratelli d’Italia, che hanno conquistato solo le Marche e, soprattutto, escono sconfitti in Puglia. Ma che, anche in conseguenza dell’ennesimo ridimensionamento di Forza Italia (sotto il 10 per cento anche in Campania), è sempre più punto di riferimento delle destre nel Centro-sud. Insomma, una destra che torna alle origini e che meglio di altri sembra interpretare le parole d’ordine del nazional populismo.
Infine il referendum. Il Sì ha vinto comodamente con il 70 per cento circa. Però è anche vero che (sulla carta) aveva il sostegno di tutto lo schieramento delle attuali forze politiche: dai Cinquestelle, alle destre, al Pd. Eppure il 30% dell’elettorato non ha seguito queste indicazioni. E i primi studi sui flussi elettorali ci dicono che questa disubbidienza è stata diffusa soprattutto nel Pd e in altre forze di sinistra. Sarebbe comunque sbagliato sottovalutare il fatto che il Sì è andato forte soprattutto nel Mezzogiorno (riscoprendo le tentazioni del dopoguerra monarchiche laurine e qualunquiste, oggi rinverdite dai neoborbonici) e nelle periferie delle grandi città. Insomma: guai a considerare l’ondata populista definitivamente battuta.
E allora adesso la parola dovrebbe tornare al Parlamento per mettere ancora una volta mano alle riforme. Credo però che abbia ragione Stefano Folli a scrivere su “Repubblica” che in questa legislatura “meglio non farsi troppe illusioni“. Condivido anche la sua opinione sul fatto che “sarebbe più che sufficiente una onesta legge elettorale per non stravolgere gli equilibri della rappresentanza come conseguenza sgradita del referendum“. Ripartire dunque dalla legge elettorale. Ed è certamente un fatto positivo che Zingaretti nei suoi primi commenti abbia fatto riferimento alla proporzionale e al voto di preferenza. Sui quali potrebbero essere d’accordo anche i grillini, tra i quali non tutti sembrano entusiasti del metodo piattaforma Rousseau.
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Foto in evidenza : Nicola Zingaretti, segretario del Pd
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Guido Compagna
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