La Cgil, il sindacato riformista: tra storia e ricordi
Sabato 2 dicembre la Cgil torna in piazza in cinque città con manifestazioni contro le proposte del governo per le pensioni. Nei fatti la protesta si allargherà alle politiche sin qui seguite dai governi Renzi e Gentiloni su lavoro e occupazione. Come era abbastanza prevedibile, da diverse parti, in vista di quest’appuntamento, si è rispolverato il vecchio luogo comune di una Cgil estremista e massimalista che non si accontenta mai di nulla e che, mentre sarebbe in corso una ripresa economica, cerca di cavalcare la tigre del protestarismo e, perchè no, del gruppettarismo. Parola tornata recentissimamente di moda e appioppata a chi gruppettaro non lo è mai stato.
Ma le cose stanno davvero così? Davvero la Cgil è un sindacato sempre preda dell’estremismo? E’ vero esattamente il contrario. Potremmo ricordare che il primo segretario della Cgil fu il socialista riformista Rinaldo Rigola. Ma senza spingerci troppo lontano potremmo partire da Giuseppe Di Vittorio, che riusciva a tutelare il riformismo del sindacato, anche in tempi di guerra fredda, e che (risulta dai verbali delle direzioni) nel Pci seppe tener duro anche nei confronti di dirigenti del calibro di Togliatti e Amendola. E riformisti furono certamente Agostino Novella e soprattutto Luciano Lama, che non poche volte si vide scavalcato a sinistra: in politica dal Pci e nel sindacato soprattutto da esponenti della Cisl, o meglio della Fim-Cisl. Lama e la Cgil furono in prima fila nel combattere il terrorismo e l’estremismo, quello sì gruppettaro, fuori e dentro il sindacato. Come non ricordare la contestazione all’Università di Roma nei confronti del capo della Cgil. Del protagonista della svolta dell’Eur, con la quale il sindacato e in particolare la Cgil si mettevano a disposizione del Paese per interloquire con governi di segno diverso in nome del bene comune del Paese. In fondo fu anche quella Cgil di Lama il biglietto da visita che Berlinguer e il Pci poterono presentare ai partiti tradizionalmente di governo per avviare il breve e drammatico periodo della solidarietà nazionale.
Ma Lama fu anche quello che quando a Torino la Fiat licenzio i famosi 61 accusati e processati per comportamenti violenti in fabbrica, andò a Torino a parlare agli operai per invitarli a isolare costoro. Nè si può trascurare il ruolo avuto dalla Cgil di Lama e dal sindacato più in generale nella dura lotta contro il terrorismo delle Br e di Prima linea. Mi sono sempre chiesto se il nostro Paese sarebbe stato in grado di fronteggiare e superare quel drammatico periodo senza il decisivo contributo di quei dirigenti sindacali. Probabilmente no. E questo lo hanno riconosciuto anche uomini e forze politiche non necessariamente di sinistra.
Era il sindacato della contrattazione. Che, mentre nelle fabbriche difendeva i diritti e gli interessi dei lavoratori, andava a palazzo Chigi per ragionare con il Governo anche su quelle che dovevano essere le scelte di politica economica per lo sviluppo del Paese. Quella concertazione sempre difesa da Ciampi,e subito dichiarata vecchia e da superare e rottamare da Renzi. Perchè, spiegava, i posti di lavoro si fanno con Marchionne non con la Cgil. Abbiamo visto poi numero, tempi, e soprattutto qualità di quei posti di lavoro.
A succedere a Lama fu Antonio Pizzinato, la sua segreteria fu in un tempo difficile del sindacato. La sconfitta alla Fiat del 1980 aveva lasciato ferite profonde e in un certo senso si era passati dal sindacato dell’autunno a una sorta di autunno del sindacato. Pizzinato, comunque, svolse il suo mandato con grande dignità e in continuità con Lama. Toccò poi a Bruno Trentin con la sofferta stagione degli ultimi accordi sul lavoro a crisi economica in corso.
Quindi fu la volta di Sergio Cofferati. Che, secondo alcuni luoghi comuni, spostò a sinistra il baricentro della Cgil. Cofferati era stato il capo della Cgil dei chimici e passava e, secondo me, era un dirigente molto pragmatico, che puntava a fare più accordi che lotte. Naturalmente sapeva anche che per fare buoni accordi bisogna anche saper dire dei no ai propri interlocutori. E qui vorrei introdurre un ricordo personale. Ero a Torino per il mio giornale a seguire la vertenza dei 35 giorni alla Fiat. C’erano i picchetti ai cancelli di Mirafiori ed era tarda sera. Erano venuti lavoratori e sindacalisti dalla Lombardia in aiuto ai compagni torinesi. Tra loro c’era il giovane segretario della Cgil chimici Cofferati, il quale (secondo me aveva capito che le cose stavano andando a finire male) disse a me e ad altri colleghi: “Ancora una volta tocca a noi riformisti lombardi provare a cavare le castagne dal fuoco ai massimalisti di Torino”. Pochi giorni dopo ci sarebbe stata la marcia dei quarantamila e poi ancora le contestazioni a Lama, Carniti e Benvenuto al momento dell’approvazione degli accordi. In quei giorni proprio Bruno Trentin, anche lui sarebbe stato segretario generale della Cgil, aveva espresso motivate riserve sulla scelta della lotta a oltranza dei consigli di fabbrica della Fiat. Fu la più dura sconfitta del sindacato italiano nel dopoguerra.
Naturalmente come tutti i riformisti bravi Cofferati era anche uno tosto. E da leader della Cgil lo dimostrò. E così, quando la Confindustria, i governi di destra attaccarono l’articolo 18 e lo Statuto dei lavoratori di Giugni, lui a capo della Cgil tenne duro. E mentre anche la sinistra sembrava ammaliata dall’insorgenza blaiariana, portò molte persone in piazza al Circo Massimo. Ma la sua come quella della Cgil (i successivi segretari generali sono stati di scuola socialista e riformista: Epifani e Camusso) restò una storia riformista. Così come riformista sarà l’appuntamento per le manifestazioni di dopodomani. Con buona pace di chi, a destra e, purtroppo, anche nel Pd, grida alla deriva estremista.
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Foto di copertina: Manifestazione della Cgil