Tessera eletttorale 2

La vittoria della Meloni, le sconfitte a sinistra. I dilemmi del dopo voto. Il diritto all’antifascismo

A chi come me e altri della mia generazione, per i quali il primo passo per la politica è stato l’antifascismo non c’è dubbio che quella del 25 settembre è stata una mazzata tremenda: il centrodestra guidato dalla Meloni e a trazione degli eredi di Almirante, quella fiamma tricolore esibita alle spalle di Giorgia Meloni (niente di personale) che si prepara a formare il nuovo governo fanno male e tanto. Ma ci sono due regole fondamentali, la prima giornalistica e la seconda democratica. Per la prima con la notizia non si litiga. Per la seconda nelle liberal democrazie i risultati del voto si rispettano anche se non sono tutto.

E allora nulla da dire sulla nettezza del risultato rivendicato peraltro con prudenza (sinora) dalla Meloni per la quale i problemi maggiori potrebbero arrivare soprattutto dalla maggioranza di destra: le pulsioni di un Salvini ferito politicamente che mette subito in chiaro che nella Lega comanda lui e da Forza Italia nella quale un Berlusconi, che non accorgendosi della sua ormai confermata quasi irrilevanza, sbraita che lui è e sarà decisivo per fare il nuovo Governo e magari altro.
Resta un avviato precosrso istituzionale nel quale la Meloni cercherà di tenersi il meno distante possibile da Mattarella, da Draghi con il quale vorrebbe avere la massima collaborazione nella preparazione della sessione di bilancio. Naturalmente il tutto in una cornice di dichiarato atlantismo e declamato europeismo, in robusto contrasto con le ultime uscite della campagna elettorale nelle quali guardando all’Ungheria di Orban si è spinta fino a sostenere il partito neofranchista spagnolo. Passi falsi che oramai sono alle spalle, ma che certamente non sono un buon viatico per chi legittimamente si prepara ad avere un ruolo istituzionale. Vedremo. A cominciare dalle prossime scelte per le presidenze di Camera e Senato.

E veniamo ora agli sconfitti, a noi sconfitti. Per ora si discute se le ragioni del disastro dipendano dal mancato accordo con i Cinquestelle, da quello presente con Verdi e Sinistra italiana, oppure dalla rottura più o meno immediata con Renzi e Calenda. Di solito, però, quando non si realizza e o si rompe una intesa le “colpe” non sono mai di uno solo. E allora bisognerà andare per gradi evitando che tutto si riduca a processi sommari secondo i punti di vista a Conte o a Letta. Il Pd e dintorni facciano il loro congresso, ma forse sarebbe meglio dire una costituente fondativa, con meno primarie e più assemblee alla vecchia maniera nei circoli. E si discuta più di politica (che fare) che di nomine (chi eleggere, chi mandare). Insomma provare a riportare al centro dell’attenzione degli iscritti la politica, magari ricominciando dalla indilazionibilità di una seria legge elettorale, fondata su proporzionale e voto di preferenza. Insomma si torni a dare ossigeno alla democrazia, facendo scegliere senatori e deputati dagli elettori e dai territori e non da gruppi dirigenti senza partiti veri e propri. Altro che fughe in avanti presidenzialiste! Enrico Letta ha detto che lui non si ricandiderà alla segreteria anche per favorire il ritorno della politica al centro del confronto interno. Speriamo sia così.

Intanto un’ultima considerazione un po’ pesonale. Si sente dire da molti anche nel centrosinistra che bisogna finirla con “la solfa” della contrapposizione fascismo-anti-fascismo. No. La Meloni ha vinto e lo riconosciamo ma il diritto all’antifasscismo fa parte della storia personale di molti di noi e più in generale dell’Italia repubblicana. Quello almeno non toglietecelo.

Commenti