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Per fare una coalizione forte ci vogliono i partiti. Preferibilmente “veri”

Mentre il Governo Draghi (non ancora completato dalla scelta dei sottosegretari) ha ottenuto dal Parlamento la fiducia con una delle più ampie maggioranze nella storia repubblicana, i partiti si interrogano sul proprio presente e sul proprio futuro.

Nella sinistra si fa strada l’idea di una alleanza non soltanto elettorale tra Pd, Leu e movimento Cinque Stelle. Una prospettiva semplice ma non per questo facilmente concretizzabile. Soprattutto se si dovessero ripercorrere strade che dall’Ulivo in poi si sono rivelate scoscese per la sinistra e senza particolari successi per il Paese.

Una prospettiva resa ancora più difficile dallo stato dei partiti che la dovrebbero sostenere. Il Pd dovrebbe essere l’architrave di questa alleanza. Ma nonostante la tenacia di Zingaretti e i suggerimenti di Goffredo Bettini non sembra godere grande compattezza. Basta pensare alla componente renziana che funge un po’ da cavallo di Troia al suo interno, e alla frammentazioni di correnti che più che al recupero di un pensiero politico pensano soprattutto al proprio posizionamento interno per mantenere visibilità e incarichi. Quanto a Leu abbiamo visto che sul governo Draghi la componente di Sinistra italiana ha preferito non sostenere il governo. Inutile dire che lo sfarinamento del movimento Cinquestelle è evidente a tutti e che naturalmente non è un buon viatico per le prospettive di quella che Paolo Franchi sul Corriere della sera ha definito un’alleanza “precaria“.

Questo lo stato dell’arte. Che è frutto di errori che vengono da lontano. Da quando, non soltanto nella sinistra, i partiti sono diventati meno partiti e soprattutto sono passati in secondo piano rispetto alle “alleanze“. Insomma, si è provato a costruire alleanze solide in presenza di partiti fragili. Il tutto per sfruttare i benefici di un maggioritario, spesso immaginario, e costruito al colpi di premi di maggioranza. Di qui abbiamo avuto partiti che senza congressi e con la retorica delle primarie e la pratica della democrazia fai da te si sono prima indeboliti e poi ridotti alla precarietà dalle inevitabili fratture interne. E’ successo con l’Ulivo e l’Unione. Nè sembra che le cose siano andate meglio nei Cinquestelle, i quali la loro “democrazia fai da te” la hanno affidata alla “Casaleggio associati” e alla piattaforma Rousseau.

E allora? Siamo ancora una volta dinanzi ad una politica precaria perché viene meno quella che, anche per Costituzione (articolo 49), dovrebbe essere la sua spina dorsale: i partiti. Vale la pena citare ancora una volta l’articolo di Franchi e la sua amara conclusione. “Qualcuno – scrive riferendosi ad una proposta di Bettini – chiede, dopo tanti anni, un Congresso vero. Ottima idea. Peccato che che i congressi veri li facevano i partiti veri“. I quali, aggiungerei, proprio perché veri potevano fare alleanze non precarie e quindi credibili.

Oggi purtroppo per dare un governo al Paese, il presidente Mattarella ha con dovuto chiamare in servizio Mario Draghi. Il quale potrebbe alla fine (ci auguriamo di no) accorgersi che proprio una maggioranza di solidarietà nazionale, con quasi tutti dentro, ha tanto tanto bisogno della politica. Quindi dei partiti “veri“.

Foto in evidenza (rielaborazione da iltirenno.gelocal.it): Roberto Speranza, Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio

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