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Rimettere il mondo sui piedi. Intervista a Michele Ciliberto

La battaglia per cambiare il Pd. Ne parliamo con il professor Michele Ciliberto. Che subito mette un paletto: ”Va fatta dentro”. Dentro il Pd.
In che modo? Ciliberto va al cuore del problema, e la chiacchierata diventa una sorta di manifesto per Enrico Rossi, l’unico candidato, finora, che ha sfidato Matteo Renzi per la segreteria del Pd: “Riproponendo – dice – alcuni grandi temi, anche culturali. Cioè, il socialismo oggi ha ancora da dire qualcosa? In una situazione come questa non emerge un’esigenza di socialismo inteso come maggiore uguaglianza? Quali sono le forze sociali a cui fare riferimento per dare gamba a questa esigenza di uguaglianza”?
Il professor Ciliberto, presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, docente alla Normale di Pisa, studioso di Machiavelli e Bruno, laureato a Firenze discutendo una tesi sulla “fortuna” di Niccolò Machiavelli, ci ha concesso un’intervista per il debutto online de “L’Argine”, che idealmente a Machiavelli si richiama nel nome, quando,  nel Principe, definisce la situazione italiana “una campagna senza argini e senza alcun riparo”, in cui la fortuna imperversa sovrana. Ci fornisce anche un’indicazione editoriale: combattere l’abitudine!

Cerchiamo di definire questi argini di manovra, lasciando qualcosa alla fortuna (serve sempre!), ma per seguire soprattutto le molto più laiche e razionali riflessioni del professor Ciliberto.

Professore, allora la battaglia per cambiare il Pd si fà dentro il Pd?

La verifica l’abbiamo avuta da Fassina, da Civati. La lotta politica a sinistra oggi va condotta dentro il Pd. Fuori non c’è nulla, non c’è attualmente possibilità. La politica non si fa con i paternostri. Ma per farla bene, bisogna porsi alcuni problemi. Il problema di fondo è capire perché ha vinto Renzi e, prima ancora, perché il vecchio Pci e la vecchia classe dirigente comunista, per intendersi, quella di D’Alema, sono stati disfatti in una battaglia campale da Berlusconi. Questo è il primo problema. Poi, c’è da domandarsi perché ha vinto Renzi, ma facendo un ragionamento serio, oggettivo, non personalistico. La sua vittoria va assunta come un fatto politico acquisito, che non puoi più cancellare. Partendo da Renzi, il problema è come si fa una politica di sinistra in Italia dopo Renzi, senza immaginarsi di poterlo buttare dalla finestra o come se fosse un errore di percorso.

Che dice a quelli che ritengono che Renzi sia in continuità con Berlusconi?

Dire che Renzi è figlio di Berlusconi è un’idiozia. Semmai bisognerebbe andare a vedere qual è la cultura originaria di Renzi.
Lui viene dal cattolicesimo popolare toscano, non è un fiorentino, che è un altro errore che si fa, è un uomo della provincia fiorentina, appartiene al cattolicesimo provinciale, quello del credito cooperativo, una realtà assai seria: sono distinzioni che contano, specie in Toscana. Dire che Renzi non appartiene alla tradizione comunista è come scoprire l’acqua calda. Bisogan prenderne atto, punto e basta. Ci si trova di fronte ad un personaggio di grande spregiudicatezza, se vuoi con degli elementi cinici, però un robusto leader politico che ha anche una sua cultura popolare. Renzi è una figura complicata.

Quindi ce lo teniamo?

No, si deve costruire un’alternativa dentro il Pd. Credo che sia quello che sta cercando di fare Rossi, costruire un’alternativa politica, dentro il Pd a Renzi, riproponendo alcuni grandi temi, anche culturali. Cioè, il socialismo oggi ha ancora da dire qualcosa? In una situazione come questa non emerge un’esigenza di socialismo inteso come maggiore uguaglianza dalle cose? Quali sono le forze sociali a cui fare riferimento per dare gamba a questa esigenza di uguaglianza?

 

Nella foto: Michele Ciliberto, Presidente dell’Istituto Nazionale Studi sul Rinascimento

Belle domande. Quali risposte?

Noi abbiamo disimparato a fare l’analisi materiale della crisi, che vuol dire disoccupazione, diseguaglianza, suicidi sul lavoro, anche di imprenditori che non reggono. Socialismo vuol dire un’idea di una società più giusta e più uguale, ma, secondo la tradizione del socialismo, una capacità di guardare alla dimensione materiale dei processi. Io, poi, sono convinto che finché c’è la distinzione tra capitale e lavoro, Marx avrà sempre qualcosa da dire. L’attività produttiva si potrà dislocare nel mondo dell’Internet, in quello dell’informatica, però finche c’è, da un lato, il capitale, quello finanziario, come si vuole, dall’altro lato il lavoro, comunque sfruttato, Marx avrà qualcosa da dire.
Ecco, allora, l’esigenza di fare l’analisi materiale della condizione del lavoro operaio, del lavoro subalterno, di quello subordinato. L’enorme problema che abbiamo di fronte è spezzare il velo dell’ideologia. Se vuoi, qui c’è una continuità tra Berlusconi e Renzi: nella fortissima enfasi sulla dimensione dell’ideologia e nella costruzione di modelli ideologici che si sovrappongono alla condizione materiale delle persone e che spingono, appunto, poi a non comprendere più la propria situazione reale, effettiva. C’è come uno sdoppiamento.
Il nostro mondo è un mondo totalmente ideologico: questo è il punto che non bisognerebbe mai perdere di vista. Non è vero che l’ideologia è solo “falsa coscienza”: essa struttura in profondità la vita degli individui, e perciò occorre partire da qui per “rimettere il mondo sui piedi“. O si passa di qui o la sinistra continuerà a restare ferma, non sarà capace di riprendere l’iniziativa. Oggi quella ideologia è la dimensione decisiva dello scontro politico, ed anche della lotta ideale, culturale.

Nella foto: Enrico Rossi, presidente della Toscana, membro ideale dell’Erasmus generation 

Da dove dovrebbe cominciare Rossi?

Una candidatura come quella di Rossi, dovrebbe intrecciarsi a un’analisi materiale della situazione, e fondare su questo terreno la sua forza, la sua necessità. Dovrebbe dare voce alle esigenze che ci sono, profondissime, di maggiore uguaglianza, di maggiore giustizia sociale. E’ qualcosa che nasce dalle cose, che bisogna interpretare, trasformandolo in  politica concreta, materiale, squarciando il velo dell’ideologia.

Ma come si può vincere dentro il Pd?

Per vincere dentro il Pd, per dirla con un’espressione, bisogna rimettere il mondo sui piedi. Il mondo ora è capovolto, a testa in giù. Va rimesso sui piedi, come diceva Marx. Così capovolto che non riesci più nemmeno a vedere l’entità dello sfruttamento e a capire cosa significhi per tutti, ma soprattutto per l’Europa, quell’immane tragedia che sono le migrazioni verso i nostri paesi di centinaia di migliaia di individui. Non se ne ha percezione, ma si so o incrinati i pilastri della storia universale, quale si è sviluppata per molti secoli. Le migrazioni sono la spia crudele di trasformazioni che toccano tutti gli aspetti della vita, a cominciare da quella dell’Occidente. Per dirla con il poeta, il vecchio mondo è fuori di sesto, e un altro sta faticosamente nascendo, anche in forme sanguinose. Lo ribadisco: si stanno trasformando i “principi” della storia universale. E questo riguarda sia i massimi che i minimi, ed investe direttamente anche la nostra vita quotidiana, i modelli antropologici in cui abbiamo vissuto, e che erano il frutto di un storia plurisecolare, e di una durissima selezione naturale, culturale ed anche religiosa. Oggi è in questione anche il futuro del cristianesimo.

Invece noin vediamo quello che accade perché c’è questa forza terribile che è l’abitudine.
Un giornale come L’Argine dovrebbe proprio combattere l’abitudine. L’abitudine alla rassegnazione, al fatto che i migranti muoiano, che si possano fare dei muri in Austria, l’abitudine alla diseguaglianza come un fatto naturale.
Gli uomini, da un punto di vista intellettuale, sono diseguali. Ma, altra cosa è la diseguaglianza sociale, l’ingiustizia sociale. Su questo c’è un campo immenso su cui lavorare, che non si può affrontare con gli ottanta euro ai giovani, ai pensionati, con politiche che non toccano la sostanza materiale delle diseguaglianze, delle ingiustizie. La sinistra riuscirà a riaffermarsi in Italia se rimetterà nuovamente il mondo sui piedi. E questo non si può fare solo in Italia, va fatto in Europa.  Lo Stato italiano si sta progressivamente scomponendo, ma occorre dare un esito positivo a questa crisi che tocca anche in questo caso una struttura plurisecolare.

Si protesta un pò al Brennero, ma il muro si fa, si protesta un po’ qua, un po’ là, però il corso delle cose non cambia

Ci vuole un urlo. Come quello di Giobbe. Bisogna urlare contro questa diseguaglianza, contro queste morti. Abbiamo proprio la sensibilità attutita. Abbiamo indossato delle pelli come se fossimo dei serpenti. Non abbiamo più reattività. L’abitudine  è quella che distrugge poco per volta gli individui. Possiamo abituarci, sul piano personale, a tutto, perché c’è questa volontà di vita animalesca che ci portiamo dentro. Ma c’è anche, come dire, un’abitudine culturale, che ci rende progressivamente insensibili alla sofferenza, alla morte dei migranti in mare, ai bambini massacrati in Siria. Come sappiamo dalla storia è possibile abituarsi a tutto. Ma la storia dimostra anche che più si abbassa la soglia dell’abitudine, più l’universo ideologico va in crisi. Perché l’ideologia si sostanzia di abitudine, che si nutre a sua volta di sensi comuni che è difficile abbattere quando si installano nella nostra vita ordinaria, quotidiana.

Ma è’ più facile assecondare l’abitudine piuttosto che combatterla

L’assecondare garantisce tutto. Si vive tranquilli, tenendo lontano il caos, il disordine, la sofferenza. Si vive in uno spazio tranquillo, ma anche inerte, senza vita. E si regredisce, si va indietro senza accorgersene. Giorno dopo giorno.

La cultura, diceva Benedetto Croce, è come il fiore sulla nuda roccia che un refolo di vento può portare via. Rispetto a quelle che erano state le acquisizione culturali perfino dell’Illuminismo, noi abbiamo fatto passi indietro. Gli illuministi del Settecento, su molti punti, erano più avanti di noi. La storia non è un progresso continuo, garantito. Anzi, tutto ci dice il contrario. La battaglia sull’ideologia è la battaglia determinante. Si deve riuscire a far risalire dal fondo quelli che sono i rapporti materiali e un’ingiustizia mai così profonda nella storia moderna. Mi chiedo: i laici possono consentire che l’urlo lo innalzi solo il Papa? La cultura laica, i laici hanno creato i grandi valori moderni, hanno scoperto il valore della tolleranza, del riconoscimento dell’altro: sono tutti valori laici, che sono valori universali e necessari. Occorre arginare queste culture dell’intolleranza, delle disuguaglianze, delle ingiustizie, guardando alle condizioni materiali.

Ma Renzi, secondo lei, la lotta alle disuguaglianze, alle ingiustizie la sta facendo?

Nel caso di Renzi, lo dico rispettosamente, prevale una dinamica propriamente cattolica della carità, con il riconoscimento di una funzione dello Stato nella tradizione di Vanoni e Saraceno.  Questo punto non va sottovalutato, se si vuol capire qualcosa di Renzi e di quello che rappresenta: non tocca mai i rapporti materiali, non li considera. Si muove in un orizzonte strettamente politico, e della manovra politica. Renzi, è un elemento centrale della sua posizione, rivendica il primato salvifico della politica rispetto all’economia, alla burocrazia. Decide la politica, gli altri poteri vengono dopo, devono inquadrarsi. Da questo punto di vista, Renzi è un elemento di notevole innovazione rispetto ai decenni precedenti. Se uno va a vedere queste cose, lo spazio per una sinistra democratica dentro il Pd può diventare tantissimo.

Enrico Rossi, a proposito di questo spazio, parla di democratici socialisti

Dentro il Pd c’è uno spazio per una battaglia di questo tipo se uno porta idee, e se sono idee che rimettono in primo piano il mondo com’è. E’ una battaglia assai aspra perché non abbiamo più voglia di guardare il mondo com’è. Siamo proprio all’interno di un universo di fiction, pieno di chiacchiere.

Bisogna rimettere, quindi, il mondo sui piedi. Ma con quali leve?

Il mondo è per aria. Ormai lo guardi sempre rovesciato, e in questo mondo rovesciato c’è anche Renzi, che è, in qualche modo, effetto e causa, di questo stravolgimento. Non esisterebbero leader di quel tipo, o comunque partiti politici che si affermano senza una base sociale reale. Nel Pd ci sono ampi strati di ceto medio e forze di sinistra: è un intreccio assai importante, e deve reggere se il Pd vuole avere un ruolo nella politica e nella società italiana. Mi pare che questo Renzi l’abbia capito. Il problema è capire dove mantenere il baricentro del partito. La risposta di Renzi è chiara. Ma è qui che Rossi deve giocare la sua battaglia, che è tutta ancora aperta.

Bisogna, dunque, tornare alle vecchie idee?

Se si vogliono chiamare vecchie. Un partito e un movimento riformatore hanno senso se assumono la bandiera dell’uguaglianza, ovviamente non l’eguaglianza indiscriminata, perché si andrebbe a finire negli orrori che conosciamo.
Gli uomini non sono uguali, quindi va riconosciuto il merito. Però, come diceva Trentin, ma come dice la Costituzione, vanno messi tutti in condizioni di correre: alcuni arriveranno primi, altri secondi, ma tutti devono poter correre. Quindi, maggiore giustizia sociale, il che, vuol dire, affrontare il problema dei giovani, dei vecchi, i punti più delicati in cui si misura la giustizia sociale e la civiltà di un paese; e il riconoscimento della diversità.

Ma esiste un problema di democrazia?

E’ l’altro immenso problema di oggi. Esiste una crisi profonda della rappresentanza. Che è la crisi della politica: la gente non ci crede più, non va a votare. Ma non è un problema solamente italiano. Oggi è aperto un problema della sovranità: quali sono le fonti del potere, chi è il sovrano? Anche su questo c’è una nebbia. Però la crisi  della democrazia rappresentativa è la crisi della democrazia, che non si può risolvere con la democrazia diretta, che porta al dispotismo.

Renzi però attacca continuamente i corpi intermedi. Ultimamente anche le Regioni.

E’ un errore enorme. La democrazia vive di corpi intermedi. Renzi questo proprio non lo capisce. Ripropone un rapporto fra il leader e il popolo, attraverso la Rete. In lui ci sono elementi tipici della democrazia diretta, con il Parlamento che diventa una struttura al servizio del capo.

Ma come si concilia un partito policefalo con il leaderismo? Erano leader anche Berlinguer, De Gasperi, Togliatti…

Il problema è il rapporto tra i leader e il popolo: se il leader è espressione di una base o se usa e strumentalizza la base per dinamiche tutte sue. Non è quindi il leader in discussione, in discussione è il rapporto tra il leader e il popolo, tra i leader e la base. un leader democratico entra in una relazione positiva e di reciproco condizionamento con la base. Invece ora abbiamo dei leader che si servono in modo strumentale dei seguaci e che utilizzano le primarie non per espandere lo spazio della democrazia nel rapporto tra governanti e diretti ma per creare un potere tendenzialmente dispotico dei governanti, cioè del capo. Il popolo è il fondamento della sovranità, vero, ma il problema è capire come la sovranità si esprime, se con la democrazia rappresentativa  o la democrazia diretta. E’ anche un problema di cultura politica. Bisogna riassumere alcuni grandi principi della cultura democratica e socialista: giustizia, eguaglianza, riconoscimento della diversità, cittadinanza universale, che deve andare al di là anche dell’idea di tolleranza, che non basta più se si vuol gestire l’emigrazione.

Come si spiegano “fenomeni” come Sanders e Corbyn?

Nascono dalla situazione: dalla diseguaglianza, dall’ingiustizia. Non è un’invenzione l’urgenza di una maggiore eguaglianza e giustizia sociale. Sta nelle cose. Il problema è riuscire a renderle nuovamente credibili queste parole. Le dinamiche più profonde dell’Italia degli ultimi 50 anni, sono il risentimento o un’esigenza di un cambiamento, una speranza. Renzi ha interpretato il risentimento (io sono come voi, li rottamo) e la speranza (vi dò una speranza) all’interno del suo gioco politico.

Per la sinistra del Pd e per Rossi riconoscere le ragioni del risentimento e ridare una speranza credibile è un’esigenza essenziale. sapendo che ha di fronte un personaggio forte, che non è frutto del caso o uno scherzo della storia, ma viene dal profondo della storia italiana, berlusconiana e postberlusconiana.

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