Premesso che ad ogni analisi del voto che si rispetti andrebbe posta in epigrafe la citazione di Corrado Guzzanti, nei panni di Padre Pizarro, “ce prendi de più co’a palla de vetro”; vorrei provare qui a fare due riflessioni sullo spazio politico a sinistra intendendo per questo lo spazio che parte dalla minoranza interna del PD e arriva nel vasto (per numero di soggetti) campo a sinistra del PD stesso.
Il dato che emerge da questo primo turno delle amministrative, ma che in realtà conferma un trend di lungo periodo, è che questo spazio denso di soggetti politici è invece scarso di elettori. Volendo individuare una forbice oscilla tra il 3 e il 10% quando gli va di lusso. Percentuali insignificanti, mi sia concesso, per forze che si pongono trasformazioni talvolta epocali della società e che confina queste forze politiche alla marginalità o al logoramento. Logoramento degli alleati quando forza di governo che si trasforma automaticamente in logoramento di voto presso il proprio elettorato che appare molto spesso incapace di compromesso (in primis verso se stesso) e dunque escluso dal governare. Almeno come lo intendiamo nelle democrazie occidentali.

TANTI SOGGETTI, POCHE PROPOSTE – Se dunque la base del consenso rimane immutata nel mutare dei soggetti politici occorre dunque fare un passo avanti e analizzare non tanto l’elettorato ma la proposta politica. Quello che si mostra ai miei occhi di osservatore è che al proliferare di soggetti non corrisponde un proliferare di proposta ma, piuttosto, un appiattirsi verso le proposte politiche più intransigenti, meno liberali, e meno realizzabili.
Questo appare molto bizzarro se si analizza il percorso politico di esponenti provenienti dagli ex DS approdati oggi o nel PD o da questi usciti per dar vita a formazioni politiche alternative. Penso per esempio a Stefano Fassina, che da Laura Pennacchi, dal primo governo Prodi, dalla prefazione di Carlo Azelio Ciampi al suo primo libro, passando per il FMI, approda oggi a posizioni che in quegli anni della sua prima esperienza nei palazzi del potere stavano più a Rifondazione che al PDS.
Ma non è il solo, la tensione aggregativa, in una sorta di spirito di sopravvivenza rispetto al “gigante PD”, fa sì che le formazioni politiche a sinistra del PD stesso, ma anche la minoranza interna, sposino posizioni che nel Paese sono state e restano altamente minoritarie e che il dibattito della sinistra cosiddetta riformista pareva aver risolto per altre teorie e prassi politiche, almeno 10 anni fa.

CHI HA CAMBIATO IDEA – Mi si può obiettare che se uno crede nelle proprie idee le difende indipendentemente dalla convenienza elettorale. Ci mancherebbe. Quello che però manca in questo caso, almeno in molti esponenti, è la riflessione sul fatto che hanno cambiato idea. Ci sono amministratori che nella loro esperienza di governo hanno difeso privatizzazioni, impianti di termovalorizzazione, investimenti infrastrutturali e che oggi, senza nemmeno un tweet, imbracciano striscioni contro quel tipo di politiche.
Solo i cretini non cambiano idea ma gli intelligenti, per contro, rischiano di non vincere mai un elezione o un congresso. Se dunque la riflessione della sinistra partisse dalla ripresa di politiche che fino agli anni duemila abbiamo definito “riformiste”, certo con gradi di radicalità più o meno maggiori, aggiornando le proprie riflessioni ai tempi e alle tecnologie, all’analisi concreta del fatto concreto, magari non oggi, forse nemmeno domani, il recinto del 10% potrebbe essere infranto e la proposta politica potrebbe vedere un collante diverso del tutti contro uno (Craxi, Berlusconi, Renzi, …).
Una controprova che questo ragionamento può funzionare? Quando la sinistra si è messa la giacca (perché come diceva Di Vittorio agli operai si porta rispetto e ci si veste bene), ha parlato con parole comprensibili anche a quelli fuori del branco; ha costruito alleanze e vinto elezioni. Penso a Pisapia a Milano o a Zedda a Cagliari, senza andare troppo lontano nel tempo o in periodi con altri soggetti politici in campo.

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