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Dopo l’Umbria, gli errori che il Pd e la sinistra non possono più commettere

Stamattina non si legge giornale o non si ascoltano commenti tv e radio che non si soffermino sul fatto che, come titola, per esempio, Repubblica , “C’era una volta l’Umbria rossa“. Prevalgono, per lo più, i commenti di soddisfazione, più o meno evidente, per la vittoria di Salvini e di Meloni, che ormai possono fare a meno anche di Forza Italia, ancora in calo, nettamente sorpassata da Fratelli d’Italia, per cui Berlusconi appare sempre più una presenza irrilevante. A proposito di foto di gruppo, di cui tanto si è parlato in questi giorni sul versante dell’alleanza giallo-rossa (Zingaretti-Di Maio-Speranza-Conte  fotografati insieme al candidato Vincenzo Bianconi), la presenza di Berlusconi tra Meloni e Salvini appare soltanto come un gentile omaggio che gli serve per dire che c’è anche lui e lui per poterne farne parte è costretto a rispolverare toni e linguaggio che odorano di preistoria.

E il Pd, e la sinistra? Cerchiamo, per un attimo, di astrarci dall’alleanza di governo Pd-Cinquestelle-Leu e di concentrarci sull’Umbria in sè. L’Umbria, va riconosciuto, non era più rossa da ben prima dei recentissimi sviluppi delle vicende politiche nazionali, da prima della caduta del governo Cinquestelle-Lega, ben da prima dell’avvento del governo Cinquestelle-Pd-Leu. E prima anche delle vicende della sanità che ha visto implicati esponenti di punta del Pd, che ha comportato la caduta della Giunta regionale e le dimissioni della presidente Catiuscia Marini.
L’affermazione del centrodestra non cade, quindi, dal cielo. I risultati delle amministrative del 2019 e del 2018 sono stati eloquenti, a Perugia, a Terni, a Orvieto, a Foligno, a Bastia Umbra, non certamente centri minori della regione. E’ sempre più apparso in crisi un modello, quello umbro, su cui la sinistra di governo si è di fatto seduta, confidando su una durata infinita, ritenendo che non fosse necessario apportare nessun  cambiamento significativo, in fatto di contenuti e di metodo.

Paradossalemnte, nonostante tutto questo, nonostante gli scandali, nonostante, non dimentichiamolo, la scissione renziana, il Pd sostanzialmente tiene rispetto alle elezioni Europpe. Ma il dato non riesce a nascondere la sconfitta del Pd. Chi perde molto di più, in voti e in percentuale, sono i 5Stelle che rispetto alle Europee dimezzano i consensi. Ma, nel frattempo, il Pd si è alleato con i 5Stelle al Governo (insieme a Leu), e con i 5Stelle e Leu ha stipulato un’alleanza anche alle elezioni umbre. Senza dimenticare che Matteo Renzi, che, ancora nel Pd, aveva messo il timbro sull’alleanza Pd-CinqueStelle, subito dopo è uscito dal Pd e ha dato vita a Italia Viva. Commenta Renzi questa mattina, cercando di chiamarsi fuori dalle ragioni lontane e vicine della sconfitta umbra: “Se avessi dato ascolto a Zingaretti e Gentiloni, il risultato delle politiche sarebbe stato lo stesso che in Umbria, un trionfo dei sovranisti di destra. L’Italia sarebbe stata un’Umbria più grande e per cinque anni Salvini avrebbe dominato ovunque“. Il ragionamento sembrerebbe non fare un grinza, Salvini è infatti finito all’opposizione, ma giorno dopo giorno, pur all’opposizione, accresce il suo consenso e, di pari passo, ancora di più, in percentuale, aumenta quello di Fratelli d’Italia. Dando vita, e reclamandone le ragioni, all’alleanza Pd-Cinquestelle, Renzi ha invece ha ottenuto l’effetto contrario, ha portato alimento alla campagna sovranista leghista e della destra estrema (non da solo, sia chiaro). Se, al contrario, si fosse andati al voto subito dopo la crisi del Governo Salvini-Di Maio, il Pd avrebbe avuto sicuramente più carte da giocare di quelle di cui dispone oggi e Salvini molte di meno. E Renzi non avrebbe dato vita a Italia Viva!

Ma ragionare sui se non risolve nulla. L’errore Zingaretti e Gentiloni (ma non solo loro) l’hanno fatto, ma per un altro motivo, non andando alle elezioni. Si è visto quanto l’alleanza Pd-CinqueStelle abbia fondamenta che poggiano sulle sabbie mobili, con i grillini e Italia Viva pronti ogni giorno a sollevare distinguo e ultimatum.

Le elezioni ancora, anche dopo il risultato dell’Umbria, non appaiono dietro l’angolo. Anche se le dichiarazioni di Luigi Di Maio sembrano annunciare giorni di ulteriore tensione: “L’esperimento con il Pd dopo l’esperienza civica in Umbria non è più praticabile“. Serve comunque al Pd e alla sinistra una svolta radicale. Innanzi tutto un salto di qualità del programma di governo, a cominciare dal documento economico. Basta con i distinguo, le bandierine, le liti. Sarà interesse di tutti, anche dopo i risultati umbri, dare un’immagine meno litigiosa e più attenta alla soluzione dei problemi o no? Cercare di primeggiare fra i perdenti non porta a nessun risultato, se non a far vincere la destra populista. Nel mese di gennaio 2020, si voterà per il rinnovo del consiglio regionale dell’Emilia Romagna e della Calabria, poi toccherà alla Toscana, altre regioni stiricamente “rosse”. Per la destra non sarà una passeggiata come nell’Umbria. Ma per l’Emilia Romagna e l’altra regione storicamente “rossa” non si possono ripetere in gli errori compiuti finora.

Il problema principale del Pd (e della sinistra) è che manca di una politica chiara. Senza un’identità riconoscibile non si va da nessuna parte, sia da soli sia con i Cinquestelle.
Nel Pd il dibattito è aperto. Franceschini rimane fermo sulla sua linea: “Non mi sembra particolsrmente acuta l’idea che poichè anche presentandoci insieme abbiamo perso l’Umbria, è meglio andare divisi alle prossime regionali. L’onda di destra si ferma con il buon governo e con l’allargamento e l’apertura delel alleanze, non ceerto dividendoci“.
Per il vice segretario del Pd Orlandose il Pd entra in una fase nuova deve cambiare di più di quanto non sia riuscito a fare fino ad adesso“. “Non basta – aggiunge – avere una maggioranza parlamentare per avere una coalizione“.
Per il presidente della Toscana Enrico Rossi (ricordiamo che in Toscana si andrà al voto per il rinnovo del consiglio regionale nella primavera del 2020 e Rossi dopo due mandati non sarà ricandidato): “Abbiamo bisogno di un congresso nazionale per tesi, dove si discute, dove i personalismi si mettono da parte, perchè un leader, un segretario ce l’abbiano. Ridefiniamo il nostro profilo politico e culturale, i nostri valori fondamentali di riferimento, le clasi sociali di riferiento che dobbiamo avere, che a mio pare sono ovviamente la classe lavoratrice, gli imprenditori che sono impegnati, i poveri, i giovani che, fra l’altro, si stano mobilitando in tutto il mondo a anche da noi“. “Quindi – prosegue Rossiuna base sociale possiamo averla e su questa dobbiamo scommettere con idee nuove ma che affondano le proprie radici nella grande storia della sinistra europea e italiana. Nel momento in cui rinunciamo a questa storia ci condanniamno a perdere“.

In sostanza, per chiudere con Emanuele Macaluso: “Io non penso che bisognava fondare tutto sulla tradizione, senza negarla o cancellarla. Bisogna contare su ciò che è oggi la sinistra o, se volete, il centrosinistra.  Cioè, se le forze politiche in campo sono in grado di esprimere e organizzare, dico organizzare, i ceti e i gruppi sociali che esprimono gli interessi e i valori di cui parlo. Il Pd ha questi caratteri in Umbria o in altre regioni? Non penso“.

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