Dopo l’assemblea di Articolo 1. Una sinistra delle istituzioni e della politica senza Masanielli di turno
Nonostante le pressioni continue, al limite del mobbing politico, per l’unità a tutti i costi a prescindere dai contenuti, Articolo 1 ha tenuto duro e i suoi dirigenti nell’ affollata assemblea nazionale di ieri hanno messo in chiaro due cose. La prima è che i problemi della sinistra non si risolvono con ambasciatori last minute, ma che tutto questo non impedirà un confronto serio anche e soprattutto con il Pd all’indomani di un voto che sarà anche un chiarimento per quel partito. La seconda è che la costruzione della lista progressista, civica e riformista con Sinistra italiana, Possibile e altre personalità della sinistra, aperta anche a nuove adesioni, è ormai in dirittura d’arrivo e partirà ai primi di dicembre. Una lista che ha l’ambizione di diventare un forte soggetto politico, insomma un partito nè liquido nè gassoso ma vero e con una solida organizzazione democratica.
Con tutto il rispetto per Fassino e il suo generoso tentativo, che potrebbe avere anche un orizzonte più lungo e più ambizioso di quello di una mediazione in zona Cesarini alla ricerca di qualche lista civetta, la spinta unitaria si è fermata a Pisapia. Stando ai comunicati ufficiali senza, per ora, il marchio di garanzia ulivista di Prodi. E lo stesso Renzi, stando all’informata cronaca di Carlo Bertini su “La Stampa“, avrebbe detto che l’alleanza larga va “da Lorenzin a Pisapia“, preferendo, forse per pudicizia, citare il ministro della Sanità, invece di quello più evocativo del ministro degli Esteri Alfano.
Insomma che il confronto a sinistra vada svolto su contenuti politici solidi, partendo dalle reali condizioni del Paese, e non in nome di vecchie retoriche unitarie sul voto utile si comprende bene da una giusta considerazione di Paolo Mieli che nel fondo del Corrire della sera di oggi osserva: “Vedere Renzi a braccetto con Bersani e D’Alema darebbe la stessa sensazione della foto di Harare, quella in cui nella capitale dello Zimbawe, il novantareenne presidente Mugabe è apparso rilassato in poltrona assieme al generale Chiwenga che lo aveva arrestato il giorno precedente”.
E qui vale la pena mettere in risalto come dall’assemblea di ieri sia emerso con grande chiarezza che la sinistra rancorosa, quella dei gufi e dei rosiconi, è fermamente ancorata alle cose che servono al Paese per risolvere i suoi problemi, a cominciare da quelli del mondo del lavoro. Altro che buona scuola e jobs act! Altro che legge elettorale Rosatellum!. I temi del lavoro si saldano con quelli della solidità delle istituzioni democratiche: il Parlamento, ma anche i corpi intermedi da rimettere al centro del dibattito politico. Con partiti solidi e sindacati che tornino ad essere i protagonisti della concertazione sui temi del lavoro. Magari guardando più alle riforme di Brodolini e Giugni che a quelle di Ichino e Sacconi.
Giovedì scorso su “Repubblica” Michele Serra ha prima definito Articolo 1 “la sinistra irrequieta“. Ed è già un passo avanti rispetto alla sinistra massimalista evocata dai renzisti in servizio permanente effettivo. Poi lo stesso Serra ha criticato gli “irrequieti” per aver preso a riferimento figure istituzionali come il presidente del Senato Grasso o la presidente della Camera Boldrini e non un Masaniello o qualche figura simile proveniente dal popolo e più in sintonia con esso. Ma uno dei problemi maggiori del Paese è proprio questo: una politica senza istituzioni e rappresentanze politiche solide è destinata ad essere preda dei Masaniello di turno. Si chiamino Berlusconi o Grillo, De Magistris o Matteo Renzi. Alcuni dei quali, a parole, hanno anche la la faccia tosta di dichiararsi unica alternativa alla deriva populista.
Ecco, quindi, che l’identità politica di quella che sarà prima una lista della sinistra e, poi, nei tempi strettamente necessari diventerà un partito vero: Riformista (che non vuol dire nè la destra della sinistra nè la sinistra della destra), progressista (fortemente collegato con il mondo del lavoro e le sue rappresentanze), civico (come abbiamo dimostrato in Sicilia con Claudio Fava) e, soprattutto, fortemente legato alla Costituzione. Un partito delle istituzioni e dei problemi del paese (bene comune), nè massimalista, nè irrequieto. Con un orizzonte socialista in sintonia con i partiti di sinistra mondialie: con Mélanchon in Francia, Corbyn nel Regno Unito, Sanders in America, e (speriamo) con il ritorno al suo ruolo della Spd in Germania.