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Ma davvero la lista Più Europa è il volto buono del renzismo? E i radicali sono liberali o liberisti?

E’ stata proprio Emma Bonino, quando ha presentato la lista Più Europa, con tanto di partecipazione del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, a prendere una qualche distanza dall’alleato Pd con il quale, tuttavia, si presenta in coalizione alle prossime elezioni politiche. “Non sono del Pd“, ha detto Emma, aggiungendo subito: “Ma il Pd non è il mio nemico“. Bastano queste affermazioni per poter pensare a “Più Europa“, la lista Bonino-Tabacci appunto come il volto buono del renzismo?
Da un punto di vista tecnico-elettorale certamente no. Basta pensare che chi voterà per quella lista o altre collegate al Pd, vedrà il suo voto andare nella abbondante quota proporzionale in netta prevalenza alla lista del Pd. Almeno nel caso (probabile) che le liste collegate non raggiungano quota 3 per cento. Colpa della legge elettorale voluta da Renzi e imposta con la fiducia da Gentiloni, che vuole che il voto vada “spalmato” a vantaggio della lista più grande della coalizione. E qui va dato atto alla Bonino di aver definito quella legge “una schifezza“. La stessa definizione a suo tempo usata da Massimo D’Alema. Va anche dato atto alla Bonino e alla sua storia che sul tema dei migranti e dei profughi non ha mai avuto sbandate o tentazioni in direzione verso soluzioni di tipo minnitiano, vale a dire affidate alla guarda costiera libica.

C’ è poi l’aspetto politico-programmatico. E qui bisogna fare un po’ di storia dei radicali, della Bonino e, perchè no, di Marco Pannella. I radicali in Italia sono in gran parte figli della scissione liberale del 1954. Malagodi, con il sostegno della cosiddetta destra economica (Confindustria e non solo) conquistò la segreteria del Pli. Almeno nei primi anni la segreteria Malagodi fu contrassegnata da una linea più liberista che liberale: difesa a oltranza della proprietà privata, ostilità all’intervento dello Stato nell’economia, dura battaglia politica contro l’apertura della Dc al Psi di Nenni.
La sinistra liberale uscì dal partito e in larga parte si ritrovò in diverse formazioni radicali. Marco Pannella creò e animò il partito radicale facendone il primo paladino dei diritti civili. Con notevole successo nonostante una ridotta presenza parlamentare (mi sembra del 1972 in poi). Senza i radicali di Pannella non si sarebbero vinte le battaglie sul divorzio e sull’aborto, non si sarebbe parlato di leggi sul fine vita e non si sarebbe aperta la battaglia tuttora in corso per leggi sul fine vita e su unioni civili e matrimoni tra omosessuali. Di questa storia, molto nobile, la Bonino è stata protagonista con Marco.
E tener dietro a uno come Pannella non è cosa facile neanche per Emma. Marco era stato colui che era riuscito a convincere niente meno che Togliatti a dare il via libera all’adesione degli universitari comunisti all’Unione goliardica italiana. E molti anni più tardi non aveva esitato a chiedere ospitalità e attenzione persino a Berlusconi, solidarizzando con lui contro l’invadenza giudiziaria e riuscendo a portare proprio la Bonino nella Commissione Ue a Bruxelles.

Insomma, dare collocazioni politiche a Pannella è sempre stato difficile, e seguirlo nelle sue evoluzioni difficile e poco confortevole. Però Pannella è sempre stato liberale e non liberista. Fedele in questo a quelle che erano state le ragioni della scissione del 1954. Va anche aggiunto che Marco non è stato mai succube del blairismo (fu il primo a denunciare le compromissioni del leader laburista nella guerra del golfo), ed ha sempre tenuto le distanze dalla destra americana reganiana o bushiana che fosse.
L’impressione che io ho ricavato dalle prime uscite della Bonino è che sul piano programmatico la Bonino sia più esposta di quanto lo fosse Marco a sbandate liberiste. Il suo richiamo alle politiche di austerity (proprio ora che la alleanza tra Merkel e Spd sembra metterla, almeno per loro, un po’ da parte), la difesa a tutti i costi delle politiche montiane, una certa acquiescenza a qualsiasi cosa che venga da Bruxelles, una forte insofferenza verso politiche che tendano al superamento delle diseguaglianze, non mi convincono. E mi chiedo se non sia il caso di chiedersi quale Europa piuttosto che limitarsi alla semplice affermazione di più Europa.

Mi colpisce anche una certa reticenza o eccesso di prudenza della Bonino ai temi istituzionali. In fondo l’opposizione al referendum costituzionale di Renzi (quello respinto a dal 60 per cento degli italiani) era una battaglia tipicamente liberale e mi pare che in quell’occasione la Bonino sia stata quanto meno defilata.
E non abbia colto l’importanza di quanto osservato proprio dal presidente dell’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa Sir Graham Watson, il quale sulla riforma costituzionale di Renzi disse, proprio nella prefazione del libro “Sfascismo costituzionale” di Giulio Ercolessi, a suo tempo segretario radicale, parole eloquenti: “Renzi dice di essere un convinto liberale. Se davvero lo fosse saprebbe che per i liberali le azioni sono più eloquenti delle parole. E’ triste che si stia dimostrando così poco attento a quelle sottigliezze costituzionali che sono il fondamento necessario di ogni democrazia. Per questo il giudizio che la storia darà su di lui non sarà benevolo“.

Nella foto: Emma Bonino

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